Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
3 gennaio 2011 1 03 /01 /gennaio /2011 10:29

Vorrei suonare il pianoforte come Carosone, sorridente e virtuoso

Vorrei dipingere come Dalì, sfrontato e ironico

Vorrei ballare come Cortés, sensuale e tenebroso

Vorrei cantare come Bublé, sciolto e piacione

Vorrei nuotare come la Pellegrini, potente e indomabile

Vorrei tirare di scherma come la Vezzali, agile e vincente

Vorrei correre in moto come Valentino, giocherellone e giudizioso


Io vorrei... non vorrei...

 

 

Vorrei gli occhiali (e gli occhi) intellettuali di Francesca

Vorrei la sciarpa biancoblu di Angelo e la fede incondizionata di Angela

Vorrei l'entusiasmo di Giuseppe e i suoi duetti con Marcella

Vorrei la calma eastwoodiana di Giorgio 

Vorrei il pragmatismo no limits di Federica 

Vorrei la razionalità fantasiosa di Enrico

Vorrei la purezza di Margherita

Vorrei lo spirito battagliero di Roberta

Vorrei avere il dono dell'ubiquità come Paolo

Vorrei aspettare un bambino come Adriana

Vorrei essere una donna. Come Irene. (ed essere una "donna come Irene") 


Io vorrei... non vorrei...


Vorrei il dinamismo onesto di mio padre

Vorrei l'altra guancia di mia madre

Vorrei i tre anni in meno di mio fratello

 

Io vorrei... ma poi non sarei io... e allora "meglio che non vorrei"... 

Condividi post
Repost0
30 dicembre 2010 4 30 /12 /dicembre /2010 18:05

Premessa 1: non sapevo proprio come fare l'articolo finale di quest'anno. Ne ho scritti tre o quattro e poi cestinati. Oggi, poi, ho visto uno dei miei articoli sul giornalino d'istituto del Liceo, datato 1997, e ho detto "ok, riciclo l'idea... tanto era mia."

Premessa 2: vi consiglio di leggere con questa canzone in sottofondo.

 

 

QUELLI CHE... IL 2010

Quelli che... è già passato un anno...

Quelli che... e quanti ne dovevano passare? quattro?

Quelli che... "Accuccia!"

Quelli che... manc'i cani!!!

Quelli che... sono saliti 79 volte sul palcoscenico...

Quelli che... sono StanchiNati... oh yeah!!!

Quelli che... Adriana, Antonio, Irene, Massimo e Paolo...

Quelli che... si divertono come 29 anni fa...

Quelli che... un istante prima di entrare in scena non ricordano più le battute, gli manca l'aria e, immancabilmente, hanno il cagotto....

Quelli che... alla caccia al tesoro si divertono come i bambini... e se poi vincono pure qualcosa... oh yeah!

Quelli che... animano le feste dei bambini... ma anche dei grandi...

Quelli che... d'estate, in spiaggia, fanno ballare tre stabilimenti e le due spiagge libere insieme... ma vengono pagati da uno solo...

Quelli che... il Terracina Book Festival... oh yeah!!!

Quelli che... lo fanno per amore...

Quelli che... "... quindi ti candidi alle Comunali!" "No." "Ma come no? E allora perché fai tutte 'ste cose???"

Quelli che... "ce servisse 'nu screttore pe' la lista all'elezioni accusì facem' vedè che sem' 'nu po' accurturate!" (Sic!!!!!!!!)

Quelli che... scrivono racconti... e spettacoli teatrali... e programmi tv... e quelli radio... e romanzi gialli... e post sul blog...

Quelli che... se finiscono l'inchiostro c'è sempre un amico a cui fottere la penna...

Quelli che... indicono concorsi letterari...

Quelli che... "ma 5 cartelle significa che posso scrivere anche in Garamond 2 con interlinea nulla così c'entrano 183374089493789475 battute???"

Quelli che... non faranno più i giudici... chi perché c'ha rimesso in benzina come la Chinappi, chi in cene come Molinari, chi in polpastrelli e fegato come il sottoscritto...

Quelli che... dopo i gialli scrivono saggi sul cinema...

Quelli che... e glieli pubblicano pure... oh yeah!!!

Quelli che... Salone del Libro di Torino... e sono 2...

Quelli che... hanno anche sfatato il tabù dell'Olimpico

Quelli che... per loro resta sempre il Comunale...

Quelli che... dopo aver conosciuto anche Dario Fo e Franca Rame possono pure affermare che esiste "l'orgasmo culturale" (Cit. G. Moscarello)...

Quelli che... vedono partire gli amici... e gli scappa la lacrimuccia...

Quelli che... "gli uomini non piangono!"

Quelli che... gli scappa la battutaccia sulla sorella...

Quelli che... hanno scoperto tante belle persone... e non contano quelle brutte...

Quelli che... hanno un miglior amico donna... oh yeah!

Quelli che... hanno cantato live con Litfiba, Edoardo Bennato, Paola Turci, J Ax, Pino Daniele, Mannarino e ci metto pure Tony Tammaro (ben 2 volte!!!)

Quelli che... hanno ammirato stupiti Leonardo, Van Gogh, Caravaggio, Dalì, Picasso e infiniti altri...

Quelli che... ma anche il Tempio di Giove, la Cattedrale restaurata, la Fonte di Feronia, il centro storico... stupendosi ogni santissima volta...

Quelli che... hanno visitato Torino, Milano, Verona, Firenze, Lucca, la Garfagnana, il Valdarno, il Chianti e, infine, Madrid...

Quelli che... tornano comunque a Terracina... felici di vivere a Terracina... nonostante tutto...

Immagine 052

Quelli che... "che anno di merda! E per rovinarlo anche agli altri lo scrivo su Facebook..."

Quelli che... "il bicchiere è stato mezzo vuoto..." (e te lo scrivo su Facebook...)

Quelli che... il bicchiere, invece, è mezzo pieno...

Quelli che... "a sì? allora da qua... lo finisco io... tanto è capodanno!"

img351.jpg

 

BUON 2011

Condividi post
Repost0
23 dicembre 2010 4 23 /12 /dicembre /2010 15:59

 

 

Ascanio m'ha tolto le parole di bocca...

...e con queste parole (mie e sue) Buone Feste a tutti, soprattutto a chi non crede più a Babbo Natale.

Condividi post
Repost0
21 dicembre 2010 2 21 /12 /dicembre /2010 14:24

Ora tutti se ne approprieranno, come fanno con tutto ciò che è buono. Ora tutti diranno parole di elogio conoscendo solo l'ultima parte della storia, quella vincente.


Mettiamo subito le cose in chiaro: Enzo Bearzot era ed è(come capita da sempre nella nostra storia pluricentenaria) un Granata. E non solo perché ha indossato 229 volte la gloriosa maglia del Toro, diventandone anche capitano;

220px-Bearzot2.jpg

non solo perché ha cominciato la sua carriera di allenatore con la Primavera dei ragazzi del Filadelfia e poi come secondo del mitico Nereo Rocco. Enzo era Granata dentro e fuori. Tosto, difensore o centrocampista di quelli che oggi si direbbe alla Gattuso - ma Ringhio avrebbe trovato difficoltà nel ringhiare al "vecio" friulano - una roccia d'uomo, granitico come le montagne da cui proveniva. Ma dentro era un buono, uno capace di far convivere giocatori con caratteracci e rivalità di bandiera fino a portarli a vincere la Coppa del Mondo; uno che si è ritirato perché aveva percepito lo schifo che stava maturando nel mondo del pallone; uno che sorrideva sempre; uno che quando era felice ti abbracciava il Presidente della Repubblica come se fosse al bar di Aiello del Friuli con l'amico Giovanni.

220px-Sandro_Pertini_e_Bearzot.jpg

Enzo era ed è Granata perché ha imparato tutto quello che sapeva sul calcio al Toro. Lo spirito di sacrificio, la tenacia, la grinta, l'onestà.... l'onestà.


Appropriatevene, cari signori, come avete sempre fatto. Fate pure. Ricordate solo le poche presenza all'Inter (ne ha fatte molte di più nel Catania e nella Pro Gorizia... ma non sia mai nominare squadre piccole!!!), o che ha vinto il mondiale con il blocco gobbo (che senza il famoso "gruppo" creato e amalgamato dal Vecio, fatto di giocatori di tutte le squadre, col kaiser che vincevamo... per non parlare del miglior giocatore del Mundial che fu il giallorosso Bruno Conti.)Scrivete le vostre solite manfrine pro-potenti e prepotenti.

Enzo rimarrà roba nostra. Nostra e di tutti gli italiani che vivono di cuore e sorridono sempre.

 

Ciao Mister, ciao Capitano, ciao Vecio... 

Condividi post
Repost0
17 dicembre 2010 5 17 /12 /dicembre /2010 17:06

Se uno spara subito 9 gennaio quello che legge dice "ma allora il titolo è una bufala!" (essendo in territorio pontino e, a prescindere, essendo in Italia, le bufale sono l'animale nazionale, assieme alle zoccole e alle zanzare). Altri potrebbero dire "Aò, guarda che stiamo al 17 dicembre... che t'è già passata la Befana?".

Nessuna delle due, giuro. Solo che mi è venuta in soccorso la Chinappi dal tugurio speloncano (che è quasi un rafforzativo), che lei vorrebbe si dicesse degregorianamente "Irene al quarto piano...", con il suo ricordo, il compleanno del papà, e quando c'è un padre di mezzo il giorno è per forza esatto...

Dunque 9 gennaio. Non ricordo di preciso l'anno, ma credo l'85 o l'86. E nevicò a Terracina.

img201.jpg

Io faccio il pupazzo e Lucio lo distrugge

Il Palazzo Pallotta a Via Badino e dintorni lo conoscevano tutti come il Palazzo Grigio... o Palazzo Pallotta, a seconda della fantasia. Quella mattina del nove gennaio "nonmiricordoquando" il Palazzo Grigio si svegliò bianco. Sì, d'accordo, metaforicamente. Mica la neve si attacca ai muri. Però "giùalgiardino" era proprio bianco che non c'eravamo abituati. Le aiuole con le piante di nonna Giovanna non avevano più né il colore della terra con cui facevamo le polpette da mettere "pe' finta" dentro al forno a legna comune, né il verde dei fili d'erba che servivano a Pietro e Simone come guinzagli per le lucertole che schiavizzavano come cani qualunque. Bianco. Ma non il bianco delle strisce del tavolo da ping-pong in cemento che campeggiava "giùalgiardino" (che a Palazzo Pallotta per forza di cemento doveva essere... il cemento l'aveva creato nonno Pietro!). Un bianco che non avevamo mai visto.

E così Fabio, il cugino più grande, mi chiama e io chiamo a raccolta Marta, Giulio, Pietro e Simone, ché Francesca è sua sorella e se la chiama da solo.

Lucio è l'ultimo. Forse perché è mio fratello e secondo me deve capire subito. E lui capisce. Pure troppo. Sempre, è sempre stato il più sveglio di tutti. Non esattamente come il fratello maggiore, perso nelle fantasie intasate nei suoi riccioloni.

Lucio è l'ultimo ma, non mi sono mai spiegato come cacchio facesse, fu il primo ad arrivare "giùalgiardino". Lo trovai seduto sul bordo della vasca dei pesci rossi, il bordo musivo coi tasselli colorati (che a Palazzo Pallotta per forza di mosaico erano le cose... il mosaico l'aveva creato nonno Pietro!).

- Lù che stai a fa? Se cadi dentro l'acqua mamma mi strilla a me! (rafforzativo fanciullesco) E papà mi mena a me! (c.s.)

- Sto a vedè se i pesci c'hanno freddo.

Nove parole dentro una frase mio fratello non è che ce le metteva spesso. Ma neanche se ci parli oggi. Lui è uno pratico. Quello che parla troppo in famiglia sono io.

Fabio, che a scuola deve aver imparato solo cose fighissime come quella che ci disse, fece - Facciamo il pupazzo di neve!

Ci mettemmo in fondo "giùalgiardino", dove stava la vasca in cemento (e di che altro sennò?) per lavare i panni. Dove d'estate attaccavamo la pompa dell'acqua per lavarci i piedini pieni di sabbia - chissà se pure la spiaggia è bianca? - o per bagnare quel vecchiotto che passava tutti i giorni con la bicicletta, e tutti i giorni prendeva "la cappata", e tutti i giorni bestemmiava mentre nonna Giovanna dal balcone del terzo piano si faceva il segno della croce, un po' per la bestemmia, un po' per avere dei nipoti che Don Mario avrebbe disapprovato.

Insomma, cominciammo. Giulio, Lucio e Pietro erano i nostri manovali (la legge della giungla vigeva eccome "giùalgiardino"). Marta e Francesca, in quanto "femmine", andavano in cerca di oggetti per abbellire. Simone, che secondo me pure quel giorno stava sbracciato, tentava di divincolarsi da Zia Stefania che gli gridava "Copriti che sennò poi sudi!". Ora, o io non mi ricordo bene la frase o non c'ho mai capito niente di temperature. Fatto sta che faceva freddo. Ma a noi bambini del Palazzo Grigio, come al solito, non ce ne fregava un cavolo.

Io e Fabio eravamo gli ingegneri. Ma solo perché più grandi. Fabio, poi, aveva l'esempio di Zio Nino, suo padre, il fratello maggiore, che anche sul lavoro sovrintendeva ai fratelli, Zio Carlo e Zio Pino, un po' come faceva sulla panchina delle giovanili del US Terracina (o era la Polisportiva??? vabbé... tanto c'aveva sempre la stessa passione, che fosse col cemento o col terzino).

Io più che altro ero l'ideatore, il fantasista calcisticamente parlando... il pupazzo, insomma. E non solo perché sin da piccolo girovagavo sui palcoscenici cittadini, ma proprio perché ce l'avevo l'aspetto del pupazzo, magari non di neve, ché noi mica l'avevamo mai vista, più probabilmente uno di carne, ché all'epoca del narrato ce ne avevo in più rispetto a un'altro bimbo di sette o otto anni.

- Dobbiamo fa' due palle. Una grande pe' sotto e una piccola pe' la capoccia. - ordina Fabio.

- E le gambe? - chiedo io saputello.

- E che il pupazzo di neve c'ha le gambe? 

- E mica lo dobbiamo fa' come lo fanno gli altri. - affermo saputellamente ribelle.

Così lo facciamo con le gambe. Due gambe tonde. Due palle. Una se la beccano i manovali Giulio e Pietro e l'altre mio fratello Lucio. Marta e Francesca, intanto, arrivano con una carota per il naso, una sciarpa rossa di zia Patrizia (che lei ancora oggi sbandiera sciarpe rosse...) e il cappello di lana di zio Michele 'u calabrese. Simone, ovviamente, stava sudando perché scappava da zio Eugenio che, mestamente, lo rincorreva sotto l'ordine di zia Stefania.

Il pupazzo del Palazzo Pallotta ormai è fatto.

- Mancano gli occhi - dice zia Luisa da ragionera attenta.

E Marta e Francesca ci mettono due palline da ping-pong arancioni, e poi c'aggiungono tre bottoni sulla panzona, rubati chissà a quale vestaglia di mamma Ernesta.

L'intera tribù di Palazzo Pallotta contempla il pupazzo di neve. Ognuno dice la sua. Fabio si sente scavalcato nella gerarchia degli ingegneri. Io, invece, col broncio di chi non è mai stato compreso appieno, faccio "lo spiritoso" (come diceva nonna Giovanna), il "pupazzo" come dice zio Luciano paragonandomi ad uno dei suoi passerotti che tiene nella voliera "giùalgiardino" ma dietro, dove stanno i minibox per le Bmx e il Ciaetto della Piaggio.

Io pupazzo. - Fatelo voi se siete capaci! - io e le mie sfide col mondo dei grandi. Ma quelli continuano a discutere di bottoni, carote, cappelli-di-lana, sciarpe-rosse e palle e contropalle-gambe dell'omino di neve. - Se non vi piace distruggetelo! - minaccio per non essere minacciato.

Mi guardano come il marziano che sono sempre stato per loro. Colpa mia, per carità. Troppo diverso dagli altri bambini. Troppi sogni detti ad alta voce e col sorriso sul faccione da bimbo calafricano-terracinese.

- Forza! Distruggetelo! - con i pugni stretti sui fianchi.

Loro, i grandi, ridono. Poi guardano alle mie spalle. Qualcuno alza i sopraccigli (che a Palazzo Pallotta ce n'erano di sopraccigli... i sopraccigli li aveva inventati nonno Pietro!). 

Mi giro e il pupazzo di neve non c'è più. O meglio, c'è la neve, i bottoni, la carota, il cappello-di-lana e la sciarpa-rossa. Ma niente più palle, gambe, corpo e testa. Distrutto.

Al di sopra del mucchio di neve che così bianca chi l'aveva mai vista c'era il piedino scarponcinato di mio fratello Lucio, come Messner quando conquistava un ottomila.

Opera sua la distruzione. Razionale, per carità, ma pur sempre distruzione. Michelangiolesco più che leonardiano. Sin dalla culla.

Però l'unico che mi ha sempre ascoltato. 

L'unico che mi ha sempre preso sul serio.

Ho detto "distruggetelo" e lui l'ha fatto.

Anche se non era riferito a lui. Come quando Fabio ha detto di scendere "giùalgiardino" e io l'ho detto agli altri cuginetti. Lui mi ha ascoltato ed è arrivato per primo.

Sarà stato l'85 o l'86, comunque un 9 gennaio, e da quel giorno non ho più fatto pupazzi di neve, ma ho continuato ad avere sogni a voce alta, il sorriso sulla faccia ormai più terracinese che calafricana e un fratello che mi ha sempre ascoltato, anche quando non parlavo con lui.

Condividi post
Repost0
16 dicembre 2010 4 16 /12 /dicembre /2010 16:17

Anticorpi.

Tanti corpi.

Poche menti.

Antimenti.

Altrimenti.

Altre menti.

 

Tralasciando il bergonzoniano gioco dovuto all'effetto del moscato di Terracina col quale i giovani alunni dell'Istituto Alberghiero Filosi hanno riempito il mio bicchiere, vado a parlarvi dell'incontro avvenuto stamattina con l'ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Francesco Forgione, proprio con gli alunni del Filosi, per la presentazione del suo libro Mafia Export.

Io ero lì in veste di attore. Ho recitato un monologo tratto da un lavoro teatrale di una compagnia di Scampia sulla Camorra. Interpretavo un ragazzo del Sistema. Uno dei tanti. Troppi. Uno tale e quale a quelli seduti in platea nella Sala Valadier stamattina. Tale e quale nel corpo. 

Tanti corpi. Tante menti.

Menti che potrebbero diventare poche o, peggio ancora, antimenti

Corpi e menti di ragazze e ragazzi che devono essere forgiati almeno sulle cose basilari della coscienza civile. Giovani a cui bisogna dare gli anticorpi per combattere batteri e virus grandi quanto l'Idra di Lerna, che non vi dico le nove teste di che cosa sono....

Anticorpi per corpi e menti. Senza mentire. Ma dicendo la verità. Nuda come Ercole che, checché se ne dica, l'Idra l'ha ammazzata con la testa (la sua...una) piuttosto che con la forza.

Altre menti vorrebbero altrimenti.

Ma non Forgione. Non la sua calabresità fatta di frasi autentiche, pane al pane e vino al vino (a proposito del moscato di cui sopra), fatta di esperienza sul campo, di una vita sotto scorta. Lui e gli uomini che lo proteggono fanno un Idra pluripensante che, citando il personaggio di Oscar in Troppo Forte, c'ha gli anticorpi coi controcojoni.

Letteratura orale che, nell'era delle immagini, chi ha una forza affabulatoria come Forgione deve sfruttare per distribuire dosi massicce di vaccino per salvare i ragazzi (ma anche agli adulti non farebbe male...) abituati a non ascoltare. E allora facciamogliele "vedere" queste parole. E poi lasciamogli la scelta...

Condividi post
Repost0
14 dicembre 2010 2 14 /12 /dicembre /2010 16:26
Dopo l'articolo dell'altro giorno sugli scrittori pericolosi c'è stata un'interessante battaglia culturale a suon di nomi e considerazioni. Molti hano detto la loro, ma solo Gordon, per ora, mi ha suggerito qualcosa di concreto come il bellissimo racconto di Osvaldo Soriano che potrete leggere qui sotto.
Se si parla di calcio, con Gordon si va sul sicuro e, infatti, il racconto non mi ha deluso, anzi. Ci ho trovato proprio quello spirito caro a noi (io, Gordon, ma ti posso citare altri amici come Peppe, il Biondo, Mister Sacchetti, mio cugino Fabio e tanti altri) che amiamo il calcio vero e tutto quello che ci gira intorno. Noi che ci abbiamo giocato anche se non siamo mai stati forti, noi con le ginocchia sbucciate e imbrattate di mercurio cromo, noi che fino al 90° sei l'Avversario ma che dopo amici-come-e-più-di-prima, noi che abbiamo seguito le nostre squadre in campetti che neanche immaginavamo esistessero, noi che siamo forti a geografia perché l'abbiamo imparata dalle squadre avversarie, noi che ci abbiamo pianto e noi che ci abbiamo goduto.
Buona lettura...

Il rigore più lungo del mondo.
Una storia d'altri tempi
di Osvaldo Soriano

Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con i biliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachi lungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva una squadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché di domenica non c'era altro da fare e il vento portava con sé la sabbia delle dune e il polline delle fattorie. I giocatori erano sempre gli stessi, o i fratelli degli stessi. Quando avevo quindici anni, loro ne avevano trenta e a me sembravano vecchissimi. Dìaz, il portiere, ne aveva quasi quaranta e i capelli bianchi che gli ricadevano sulla fronte da indio arcuano. Alla coppa partecipavano sedici squadre e l'Estrella Polar finiva sempre dopo il decimo posto. Credo che nel 1957 si fossero piazzati al tredicesimo e tornavano a casa cantando, con la maglia rossa ben ripiegata nella borsa perché era l'unica che avessero. Nel 1958 avevano cominciato a vincere per uno a zero con l'Escudo Cileno, un'altra squadra miseranda. Nessuno ci badò. Invece, un mese dopo, quando avevano vinto quattro partite di seguito ed erano in testa al torneo, nei dodici paesi di Valle si cominciò a parlare di loro. 
Le vittorie erano state tutte per un solo goal, ma bastavano a far rimanere il Deportivo Belgrano, l'eterno campione, la squadra di Padìn, di Constante Gauna e di Tata Cardiles, al secondo posto, con un punto di distacco. Si parlava dell'Estrella Polar a scuola, sull'autobus, in piazza, ma nessuno immaginava ancora che alla fine dell'autunno avrebbero avuto ventidue punti contro i ventuno dei nostri. I campi si riempivano per vederli finalmente perdere. Erano lenti come somari e pesanti come armadi ma marcavano a uomo e gridavano come maiali quando non avevano la palla. L'allenatore, uno vestito di nero, con baffetti sottili, un neo sulla fronte e mozzicone spento tra le labbra, correva lungo la linea laterale e li incitava con una verga di vimini quando gli passavano vicino. Il pubblico ci si divertiva e noi, che giocavamo di sabato perché eravamo più piccoli, non riuscivamo a spiegarci come potessero vincere se giocavano così male. Davano e ricevevano colpi con tale lealtà e con tale entusiasmo che dovevano appoggiarsi gli uni agli altri per uscire dal campo mentre la gente li applaudiva per l'uno a zero e porgeva loro bottiglie di vino rinfrescate sotto la terra umida. La sera facevano festa nel postribolo di Santa Ana e la Gorda Zulema si lamentava perché mangiavano le poche cose che conservava nella ghiacciaia. Erano diventati l'attrazione del paese e a loro tutto era consentito. I vecchi li raccoglievano nei bar quando bevevano troppo e cominciavano ad attaccar briga; i commercianti li omaggiavano di qualche giocattolo e di caramelle per i bambini e al cinema le ragazze accettavano carezze al di sopra delle ginocchia. Fuori dal paese, nessuno li prendeva sul serio, neppure quando avevano vinto con l'Atletico San Martìn per due a uno. Nel pieno dell'euforia furono sconfitti come tutti quanti a Barda del Medio e sul finire dell'andata persero il primo posto quando il Deportivo Belgrano li sistemò con sette goal. Tutti credemmo, allora, che la normalità fosse stata ristabilita. Ma la domenica dopo vinsero per uno a zero e continuarono nella loro litania di laboriose, orrende vittorie e arrivarono alla primavera con un solo punto in meno rispetto al campione. L'ultimo scontro divenne storico a causa del rigore. Lo stadio era tutto esaurito e lo erano anche i tetti delle case vicine e il paese intero aspettava che il Deportivo Belgrano, giocando in casa, replicasse almeno i sette goal dell'andata. Il giorno era fresco e assolato e le mele cominciavano a colorirsi sugli alberi. L'Estrella Polar aveva portato oltre cinquecento tifosi che presero d'assalto la tribuna e i pompieri dovettero tirar fuori gli idranti per farli stare calmi. 
L'arbitro che fischiò il rigore era Herminio Silva, un epilettico che vendeva biglietti della lotteria nel circolo locale e tutti quanti capirono che si stava giocando il lavoro quando al quarantesimo del secondo tempo si era ancora sull'uno a uno e non aveva fischiato la massima punizione, anche se quelli del Deportivo Belgrano entravano a tuffo nell'area dell'Estrella Polar e facevano capriole e salti mortali per impressionarli. Sul pareggio la squadra locale era campione e Herminio Silva voleva conservare il rispetto di sé e non concedeva il rigore perché non c'era fallo. Ma al quarantaduesimo rimanemmo tutti a bocca aperta quando la mezz'ala sinistra dell'Estrella Polar infilò una punizione da molto lontano e portò la squadra ospite sul due a uno. Allora sì che Herminio Silva pensò al suo lavoro e allungò la partita fino a quando Padìn entrò in area e appena gli si avvicinò un difensore fischiò. Fece uscire dal fischietto un suono stridulo, imponente e indicò il punto del rigore. All'epoca, il luogo dell'esecuzione non era indicato con il dischetto bianco e bisognava contare dodici passi da uomo. Herminio Silva non riuscì nemmeno a raccogliere il pallone perché l'ala destra dell'Estrella Polar, Rivero, detto el Colo, lo stese con un pugno sul naso. La rissa fu così lunga che scese la sera e non ci fu modo di sgomberare il campo né di risvegliare Herminio Silva. Il Commissario, con una lanterna accesa, sospese la partita e diede ordine di sparare in aria. Quella sera il comando militare decretò lo stato di emergenza, o qualcosa del genere, e fece preparare un treno per allontanare dal paese tutti quelli che non sembravano del posto. Secondo il tribunale della Lega, che venne riunito il martedì seguente, si dovevano giocare ancora venti secondi a partire dall'esecuzione del calcio di rigore, e quel match privato tra Constante Gauna, il cannoniere, e el Gato Dìaz in porta, avrebbe avuto luogo la domenica dopo, sullo stesso campo, a cancelli chiusi. Così quel rigore durò una settimana ed è, se nessuno mi dimostra il contrario, il più lungo della storia. Mercoledì marinammo la scuola e andammo nel paese vicino a curiosare. Il circolo era chiuso e tutti gli uomini si erano riuniti sul campo, fra le dune. Avevano formato una lunga fila per battere i rigori contro el Gato Dìaz e l'allenatore con il vestito nero e il neo sulla fronte cercava di spiegare loro che quello non era il modo migliore di mettere alla prova il portiere. Alla fine, tutti tirarono il loro rigore e el Gato ne parò parecchi perché li battevano con ciabatte e scarpe da passeggio. Un soldato bassino, taciturno, che stava in fila, sparò un tiro con la punta dell'anfibio militare che quasi sradica la rete. Sul far della sera tornarono in paese, aprirono il circolo e si misero a giocare a carte. Dìaz rimase tuta la sera senza parlare, gettando all'indietro i capelli bianchi e duri finché dopo mangiato s'infilò lo stuzzicadenti in bocca e disse: - Constante li tira a destra. 
- Sempre, -disse il presidente della squadra. 
- Ma lui sa che io so. 
- Allora siamo fottuti. 
- Sì, ma io so che lui sa, - disse el Gato. 
- Allora buttati subito a sinistra, - disse uno di quelli che erano seduti a tavola. 
- No. Lui sa che io so che lui sa, - disse el Gato Dìaz e si alzò per andare a dormire. 
- El Gato è sempre più strano, - disse il presidente della squadra nel vederlo uscire pensieroso, camminando piano. 
Martedì non andò all'allenamento e nemmeno mercoledì. Giovedì, quando lo trovarono che camminava sui binari del treno, parlava da solo e lo seguiva un cane dalla coda mozzata. 
- Lo pari? - gli domandò, ansioso, il garzone del ciclista. 
- Non lo so. Che cosa cambia, per me? - domandò. 
- Che ci consacriamo tutti, Gato. Glielo diamo nel culo a quelle checche del Belgrano. 
- Io mi consacro quando la rubia Ferriera mi dirà che mi vuole bene, - disse e fischiò al cane per tornarsene a casa. 
Venerdì la rubia Ferreira badava come sempre alla merceria quando il sindaco entrò con un mazzo di fiori e con un sorriso largo quanto un'anguria aperta. 
- Questi te li manda el Gato Dìaz e fino a giovedì tu devi dire che è il tuo fidanzato. 
- Poveretto, - disse la donna con una smorfia e nemmeno li guardò, quei fiori che erano arrivati da Neuquén con l'autobus delle dieci e mezza. 
La sera andarono al cinema insieme. Nell'intervallo, el Gato uscì nell'atrio per fumare e la rubia Ferreira rimase sola nella penombra, con la borsa sulla gonna, a leggere cento volte il programma senza alzare lo sguardo. Sabato pomeriggio el Gato Dìaz chiese in prestito due biciclette e andarono a fare una passeggiata sulla riva del fiume. Mentre iniziava il pomeriggio cercò di baciarla ma lei girò la faccia e disse che forse gliel'avrebbe permesso domenica sera, se parava il rigore, al ballo. 
- E io come faccio a saperlo? - disse lui. 
- A sapere cosa? 
- Se mi devo buttare da quella parte. 
La rubia Ferreira lo prese per mano e lo portò fino al posto in cui avevano lasciato le biciclette. 
- In questa vita non si sa mai chi inganna e chi è ingannato, -disse lei. 
- E se non lo paro? - domando el Gato. 
- Allora vuol dire che non mi vuoi bene, -rispose la rubia, e tornarono in paese. 
La domenica del rigore partirono dal circolo venti camion carichi di gente, ma la polizia li bloccò all'ingresso del paese e dovettero fermarsi accanto alla strada, ad aspettare sotto il sole. A quei tempi e in quel posto non c'erano né televisori né stazioni radio né qualche altro mezzo per seguire cosa succedeva su un campo chiuso, così quelli dell'Estrella Polar predisposero una specie di staffetta tra lo stadio e la strada. Il garzone del ciclista salì su un tetto da dove si vedeva la porta di Gato Dìaz e da lì avrebbe raccontato quello che vedeva a un altro ragazzo che stava sul marciapiede e che a sua volta lo avrebbe riferito a un altro che stava a venti metri e così via finché ogni particolare sarebbe arrivato al punto in cui aspettavano i tifosi dell'Estrella Polar. 
Alle tre del pomeriggio le due squadre scesero in campo vestite come se dovessero giocare una vera partita. Herminio Silva aveva la divisa nera, scolorita ma in ordine quando tutti furono schierati a centrocampo andò dritto verso el Colo Rivero che gli aveva dato il pugno la domenica prima e lo espulse. Non era ancora stato inventato il cartellino rosso e Herminio indicava la bocca del tunnel con mano ferma da cui pendeva il fischietto. Alla fine, la polizia portò via a spintoni el Colo che sarebbe voluto rimanere a vedere il rigore. Allora l'arbitro andò fino alla porta con la palla stretta contro un fianco, contò dodici passi e la sistemò a terra. El Gato Dìaz si era pettinato con la brillantina e la testa gli risplendeva come una pentola di alluminio. 
Noi lo osservavamo appoggiati contro il muretto che circondava il campo, proprio dietro la porta, e quando si dispose sulla riga di calce e prese a strofinarsi le mani nude cominciammo a scommettere su quale lato avrebbe scelto Constante Gauna. Lungo la strada avevano interrotto la circolazione e tutti aspettavano quell'istante perché erano dieci anni che il Deportivo Belgrano non perdeva una coppa né un campionato. Anche i poliziotti volevano sapere, e così lasciarono che la catena di staffette si dislocasse lungo tre chilometri e le notizie correvano di bocca ritmate dalle contrazioni del fiatone. Alle tre e mezza, quando Herminio Silva ebbe ottenuto che i dirigenti delle due squadre, gli allenatori e le forze vive del popolo abbandonassero il campo, Constante Gauna si avvicinò per sistemare la palla. Era magro e muscoloso e aveva le sopracciglia tanto folte che la faccia ne sembrava tagliata in due. Aveva tirato tante volte quel rigore - raccontò poi - che lo avrebbe rifatto in ogni momento della sua vita, sveglio o addormentato. 
Alle quattro meno un quarto, Herminio Silva si dispose a metà strada tra la porta e il pallone, portò il fischietto alla bocca e soffiò con tutte le sue forze. Era così nervoso e il sole gli aveva tanto martellato sulla nuca che quando il pallone partì in direzione della porta sentì gli occhi rovesciarglisi all'indietro e cadde di spalle schiumando dalla bocca. Dìaz fece un passo in avanti e si buttò sulla destra. Il pallone partì roteando su se stesso verso il centro della porta e Constante Gauna indovinò subito che le gambe del Gato Dìaz sarebbero riuscite a deviarlo di lato. El Gato pensò al ballo della sera, alla gloria tardiva, al fatto che qualcuno sarebbe dovuto accorrere per mettere in corner il pallone che era rimasto a rotolare in area. El petiso Mirabelli arrivò per primo e la mise fuori, contro la rete metallica, ma Herminio Silva non poteva vederlo perché stava a terra, si rotolava in preda a un attacco di epilessia. Quando tutta l'Estrella Polar si rovesciò sopra al Gato Dìaz per festeggiare, il guardalinee corse verso Herminio Silva con la bandierina alzata e dal muretto su cui eravamo seduti lo sentimmo gridare : "Non vale! Non vale!" La notizia corse di bocca in bocca, gioiosa. La respinta del Gato e lo svenimento dell'arbitro. A quel punto sulla strada tutti aprirono damigiane di vino e cominciarono a festeggiare, sebbene il "non vale" continuasse ad arrivare balbettato dai messaggeri con una smorfia attonita. 
Fino a quando Herminio Silva non si fu rimesso in piedi, sconvolto dall'attacco, non arrivò la risposta definitiva. Come prima cosa volle sapere "che è successo" e quando glielo raccontarono scosse la testa e
disse che bisognava tirare di nuovo perché lui non era stato presente e il regolamento prescrive che la partita non si possa giocare con un arbitro svenuto. Allora el Gato Dìaz allontanò quelli che volevano 
pestare il venditore di biglietti della lotteria al Deportivo Belgrano e disse che bisognava sbrigarsi perché la sera aveva un appuntamento e una promessa e andò di nuovo a mettersi in porta. Constante Gauna non doveva avere molta fiducia in se stesso perché propose a Padìn di tirare e solo dopo andò vero la palla mentre il guardalinee aiutava Herminio a stare in piedi. Fuori si sentivano strombazzamenti festosi dei tifosi del Deportivo Belgrano e i giocatori dell'Estrella Polar cominciarono a ritirarsi dal campo circondati dalla polizia. 
Il tiro arrivò a sinistra e el Gato Dìaz si buttò nella stessa direzione con un'eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più. Constante Gauna alzò gli occhi al cielo e cominciò a piangere. Noi saltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Dìaz, il vecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesse estratto la pallina vincente alla lotteria. Due anni dopo, quando el Gato era ormai un rudere e io ero un giovanotto insolente, me lo trovai ancora di fronte, a dodici passi di distanza, e lo vidi immenso, rannicchiato sulla punta dei piedi, con le dita aperte e lunghe. Aveva al dito una fede che non era della rubia ma della sorella del Colo Rivero, india e vecchia come lui. Evitai di guardarlo negli occhi e cambiai piede; poi tirai di sinistro, basso, sapendo che non l'avrebbe parato perché era molto rigido e portava il peso della gloria. 
Quando andai a prendere il pallone nella porta, si stava rialzando come un cane bastonato. Bene, ragazzo - mi disse. - Un giorno andrai in giro da queste parti a raccontare che hai segnato un goal a Gato Dìaz, ma nessuno ti crederà.

 

Condividi post
Repost0
13 dicembre 2010 1 13 /12 /dicembre /2010 15:13

I detti a volte son delle gran stronzate.

A volte. I detti, detto fra noi, son proprio detti a cacchio.

Detti e ridetti, poi, uno finisce per crederci.

Detto e ridetto, quindi, arrivo al nocciolo.

 

Oggi è il 13 dicembre per la maggior parte del mondo (sarebbe errato dire "per tutto il mondo" perché se glielo vai a chiedere agli Aborigeni o a certe altre tribù sparse per il globo, che cos'è il 13 dicembre, quelli si mettono a ridere o, al massimo, ti mangiano...).

Per molti è anche Santa Lucia (molti ma non la maggioranza, anche se tendono a far credere il contrario...). Santa importante, patrona di Siracusa, protettrice degli occhi e tanto altro (ma non la mozzarella, per favore!!!). Io me la ricordo in Paradiso. No, non è che sono stato in Paradiso, né per davvero né per la pubblicità (e mai accadrà, qualora fosse vero, dati gli ultimi 32 anni e mezzo...). Dico il Paradiso di Dante. "E contro al maggior padre di famiglia / siede Lucia, che mosse la tua donna, / quando chinavi, a ruinar, le ciglia".

Per noi italiani oggi è "il giorno più corto che ci sia".

Scientificamente vero, certo. Ma solo se si analizza la durata media della luce solare.

Il giorno ha 24 ore. Sempre e comunque. Non ce n'è uno più corto e uno più lungo.

Le parole sono importanti. Anche nei detti. Soprattutto nei detti.

Detto questo, non ho detto niente, a parte un detto detto così, tanto per dire.

Condividi post
Repost0
10 dicembre 2010 5 10 /12 /dicembre /2010 14:42

Sarà stato il succo di frutta al mirtillo, o l'ogivalità della panchina del lungomare, o ancor più il riflesso di un sole tutt'altro che natalizio sulle acque salate del nostro tirrenico mare, tant'è che, fra chiacchiere lavorativamente criminali e altre banalmente idolatrici di un posto tanto bello, ho accettato una provocazione dell'amico-collega Giorgio Molinari e ho rilanciato dicendo "Mò lancio l'idea sul blog... e vediamo chi risponde."

Provocazione: "Fare una lista di scrittori pericolosi e magari scriverci pure il perché, per te, lo sono."

Regole: "Ognuno ne scrive quanti ne vuole. Non devono essere per forza famosi o i migliori o i più venduti. Semplicemente pericolosi."

Vado con la mia lista (così come mi vengono, eh... non è una classifica!):

1 - Daniel Pennac: “Scrive dei bimbi, degli ultimi, degli sfigati, dei non-allineati. E lo fa con un metodo di scrittura semplice, ordinato e descrittivamente dissacrante. La sua è Bellville, non è Parigi. Come se un romano scrivesse di Tor Marancia o io scrivessi di Borgo Hermada. Pericoloso perché integra razze (che parole del cazzo!), individui, animali, caste (è tornata di moda, sì).“ (Autocit. articolo Pennacoloso su questo blog)

2 - Dante Alighieri: uno che è riuscito a far girare i coglioni a tutti.

3 - Roberto Saviano: per farmi capire realmente la Camorra c'ha messo una pagina e mezza di Gomorra: quella della tredicenne che si fa mettere incinta per farsi campare. 

4 - George Orwell: metafore ("La fattoria degli animali") o non-metafore ("1984") picchiava duro come pochi.

5 - Woody Allen: lo metto non solo perché ha scritto anche dei libri, ma anche perché tutto il suo cinema e soprattutto letteratura. Ogni battuta, ogni frase fa tremare il mondo.

6 - Carlo Collodi: ammaestratore di teste pensanti.

7 - J.R.R. Tolkien: bene e male mai banale, cattivi e buoni senza opinioni.

 

Per ora questi.

Adesso sta a voi.

Lasciate la vostra lista.



 

Condividi post
Repost0
7 dicembre 2010 2 07 /12 /dicembre /2010 10:58

Alzo gli occhi al cielo, in bagno. Mi capita se devo mettere le lenti a contatto, se il gatto della signora di sopra rompe i coglioni con la pallina tintinnante e se, ascoltando Tutto il calcio minuto per minuto, il Toro prende gol. Capita di alzare gli occhi in bagno. Spesso e malvolentieri.

Ieri sera, invece, li ho dovuti alzare per fare i gargarismi. Mal di gola brutto e cattivo. Colpa di un iper-riscaldamento nella scuola dell'infanzia dove Pennacchi ha presentato "Canale Mussolini", dello sbalzo di temperatura con l'umido gelo della ex palude e l'incazzatura che ho avuto alla vista dei politici locali di ogni posizione, come in un moderno Kamasutra in cui "in adorazione" (Cfr "Kamasutra" di Mallanaga Vatsyayana) ci va sempre e comunque il popolo.

Ora, a me Antonio Pennacchi è piaciuto. Le cose che ha detto, anche se spesso non ero d'accordo con lui, le ha dette credendoci, con l'ironia un po' spocchiosa di un abile oratore e, soprattutto, senza la pretesa di voler insegnare niente, di avere la verità: "io la penso così, e te lo dico chiaramente. Tu la pensi diversamente, perfetto. Parliamone. Poi ognuno per la propria strada." Senza starvi a citare Voltaire che diceva "Disapprovo quello che dite ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo"... ops, l'ho citato!

Mi è piaciuto anche il il pubblico, anche se non con tutti ero d'accordo. Ma come sopra.

E poi ci sono state le apparizioni mariane, quelle che per un panteista scettico fino a prova contraria come me sono destabilizzanti. Tutti schierati, i politici terracinesi... quasi tutti (ma la mancanza del Sindaco vestito da Dolce&Gabbana e dell'Assessore alla Cultura che pensa che la radice della stessa sia attribuibile al deretano non si è di certo sentita, neanche nella zona dove hanno costruito le loro fortune elettorali...).

Destra, sinistra, centro, sop' e abbasce ("su e giù" nda).

Che poi ci sarebbe da discutere anche di questo ma mi perderei nei meandri retorici che tanto garbano a questi signori.

Dicevo, c'erano tutti o quasi. I vecchi e i nuovi, i riciclati e i riciclanti. Un po' smaniosi di apparire (le elezioni si avvicinano...), molti non condividevano nemmeno il respiro di Pennacchi figuriamoci le idee, altri non capivano perché tutta quella gente stesse lì in adorazione ad un oggetto rettangolare fatto di carta, ma tant'è. Ci dovevano stare, e pure zitti e rispettosi di quella strana parte dell'elettorato, che pur sempre elettorato è. E ci sono stati.

Dice: "e mò che vuoi? Ti lamenti perché presenziano?"

Per l'amor di (un qualunque) dio!!! Ognuno fa quel che cacchio gli pare. Però....

C'è un però. E m'è rimasto qui, come il the Infrè.

Il però si chiama TERRACINA BOOK FESTIVAL.

Eh, lo so... quando mi rode si vede, altro che "sei un bravo attore sul palco, chissà come sarai nella vita!", detta maliziosamente. Io sono fin troppo vero nella vita reale, altrimenti manco balbetterei; mi imposterei, e andrei di diaframma, pause e respiro regolare. E invece no. Vero e verace. Sono incazzato e mi si legge in faccia. E te lo dico pure, guarda un po'.

Questi esimi signori, non tutti (per correttezza devo dire che due, tre di loro si sono affacciati durante la kermesse al Filosi), al TBF, nonostante inviti, anche ufficiali (manco fossero il Papa), non ci si sono manco accostati, come se c'avessimo la rogna.

Ora, il fatto è uno solo: tu politico o aspirante tale (e non facciamo battute su quello lì!) DEVI presenziare a un evento culturale che a Terracina se lo sognavano. Non è che se non ti va non ci vai. No. Ci vai per forza, ti tappi il naso e le orecchie come sei abituato a fare e entri in questo luogo di perdizione fatto di parole e teste pensanti.

Dice: "E vabbè, ma se uno era impegnato? Se stava male? Che doveva venire per forza?"

Certo! Non foss'altro che ieri, da Pennacchi, era un giorno unico in orario di lavoro, mentre il TBF c'è stato per tre giorni, per 6 ore al giorno. E tu politico ci DOVEVI venire pure con la cacarella a sfruscio ("diarrea" nda). 

Tu politico che ripeti di "avere a cuore le sorti di questa città" come un mantra pinocchiesco, ricorda: il rispetto non lo si da solo al grande autore che pubblica con Mondadori, ma a tutti, compreso al piccolo terracinese che, con i suoi umili lavori (libri, festival, teatro ecc) porta il nome di Terracina in giro per l'Italia (e non per il debito, la camorra, le ville abusive e la caccia di frodo!). La presenza fisica (nessuno vi richiede quella mentale, figuriamoci!) la si deve anche a un Festival di livello nazionale, di cui ha parlato anche L'Espresso e Rai News 24.

Pennacchi è incatalogabile come persona e come scrittore. Ed è un grande.

Lerose è incatalogabile come persona. Non so come scrittore. Ed è una persona.

Rispetto, gente... rispetto.

Faccio un altro gargarismo, alzo gli occhi al cielo e sul soffitto del cesso mi appare l'intero consiglio comunale e anche quelli che proveranno ad entrarci a maggio come fossero pastorelli e pecore - soprattutto pecore - del Presepe.

Sputo l'acqua ossigenata nel lavandino, pulisco la bocca e mi guardo allo specchio.

Perché io posso. Pennacchi può. Loro no. 


Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : Blog di Massimo Lerose
  • : Meglio stare all'Indice che al medio... Scrittori Pericolosi, non scrittori fottuti!
  • Contatti

Profilo

  • Massimo Lerose
  • Massimo Lerose nasce nel 1978.
E' attore, regista e scrittore.
Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio".
Per alcuni è un "talento sprecato".
Per pochi è semplicemente Massimo.
La sua casa è il mondo.
Il suo mondo è Terracina."
  • Massimo Lerose nasce nel 1978. E' attore, regista e scrittore. Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio". Per alcuni è un "talento sprecato". Per pochi è semplicemente Massimo. La sua casa è il mondo. Il suo mondo è Terracina."