Se uno spara subito 9 gennaio quello che legge dice "ma allora il titolo è una bufala!" (essendo in territorio pontino e,
a prescindere, essendo in Italia, le bufale sono l'animale nazionale, assieme alle zoccole e alle zanzare). Altri potrebbero dire "Aò, guarda che stiamo al 17 dicembre... che t'è già passata la
Befana?".
Nessuna delle due, giuro. Solo che mi è venuta in soccorso la Chinappi dal tugurio speloncano (che è quasi un
rafforzativo), che lei vorrebbe si dicesse degregorianamente "Irene al quarto piano...", con il suo ricordo, il compleanno del papà, e quando c'è un padre di mezzo il giorno è per forza
esatto...
Dunque 9 gennaio. Non ricordo di preciso l'anno, ma credo l'85 o l'86. E nevicò a Terracina.
Io faccio il pupazzo e Lucio lo distrugge
Il Palazzo Pallotta a Via Badino e dintorni lo conoscevano tutti come il Palazzo
Grigio... o Palazzo Pallotta, a seconda della fantasia. Quella mattina del nove gennaio "nonmiricordoquando" il Palazzo Grigio si svegliò bianco. Sì, d'accordo, metaforicamente. Mica la neve si
attacca ai muri. Però "giùalgiardino" era proprio bianco che non c'eravamo abituati. Le aiuole con le piante di nonna Giovanna non avevano più né il colore della terra con cui facevamo le
polpette da mettere "pe' finta" dentro al forno a legna comune, né il verde dei fili d'erba che servivano a Pietro e Simone come guinzagli per le lucertole che schiavizzavano come cani qualunque.
Bianco. Ma non il bianco delle strisce del tavolo da ping-pong in cemento che campeggiava "giùalgiardino" (che a Palazzo Pallotta per forza di cemento doveva essere... il cemento l'aveva creato nonno Pietro!). Un bianco che non
avevamo mai visto.
E così Fabio, il cugino più grande, mi chiama e io chiamo a raccolta Marta, Giulio, Pietro e Simone, ché Francesca è sua
sorella e se la chiama da solo.
Lucio è l'ultimo. Forse perché è mio fratello e secondo me deve capire subito. E lui capisce. Pure troppo. Sempre, è sempre
stato il più sveglio di tutti. Non esattamente come il fratello maggiore, perso nelle fantasie intasate nei suoi riccioloni.
Lucio è l'ultimo ma, non mi sono mai spiegato come cacchio facesse, fu il primo ad arrivare "giùalgiardino". Lo trovai seduto sul bordo della vasca dei pesci rossi, il bordo musivo coi tasselli colorati (che a Palazzo Pallotta
per forza di mosaico erano le cose... il mosaico l'aveva creato nonno Pietro!).
- Lù che stai a fa? Se cadi dentro l'acqua mamma mi strilla a me! (rafforzativo fanciullesco) E papà mi mena a me!
(c.s.)
- Sto a vedè se i pesci c'hanno freddo.
Nove parole dentro una frase mio fratello non è che ce le metteva spesso. Ma neanche se ci parli oggi. Lui è uno pratico.
Quello che parla troppo in famiglia sono io.
Fabio, che a scuola deve aver imparato solo cose fighissime come quella che ci disse, fece - Facciamo il pupazzo di
neve!
Ci mettemmo in fondo "giùalgiardino", dove
stava la vasca in cemento (e di che altro sennò?) per lavare i panni. Dove d'estate attaccavamo la pompa dell'acqua per lavarci i piedini pieni di sabbia - chissà se pure la spiaggia è bianca? -
o per bagnare quel vecchiotto che passava tutti i giorni con la bicicletta, e tutti i giorni prendeva "la cappata", e tutti i giorni bestemmiava mentre nonna Giovanna dal balcone del terzo piano
si faceva il segno della croce, un po' per la bestemmia, un po' per avere dei nipoti che Don Mario avrebbe disapprovato.
Insomma, cominciammo. Giulio, Lucio e Pietro erano i nostri manovali (la legge della giungla vigeva
eccome "giùalgiardino"). Marta e Francesca, in quanto "femmine", andavano in cerca di oggetti per abbellire.
Simone, che secondo me pure quel giorno stava sbracciato, tentava di divincolarsi da Zia Stefania che gli gridava "Copriti che sennò poi sudi!". Ora, o io non mi ricordo bene la frase o non c'ho
mai capito niente di temperature. Fatto sta che faceva freddo. Ma a noi bambini del Palazzo Grigio, come al solito, non ce ne fregava un cavolo.
Io e Fabio eravamo gli ingegneri. Ma solo perché più grandi. Fabio, poi, aveva l'esempio di Zio Nino, suo padre, il fratello
maggiore, che anche sul lavoro sovrintendeva ai fratelli, Zio Carlo e Zio Pino, un po' come faceva sulla panchina delle giovanili del US Terracina (o era la Polisportiva??? vabbé... tanto c'aveva
sempre la stessa passione, che fosse col cemento o col terzino).
Io più che altro ero l'ideatore, il fantasista calcisticamente parlando... il pupazzo, insomma. E non solo perché sin da
piccolo girovagavo sui palcoscenici cittadini, ma proprio perché ce l'avevo l'aspetto del pupazzo, magari non di neve, ché noi mica l'avevamo mai vista, più probabilmente uno di carne, ché
all'epoca del narrato ce ne avevo in più rispetto a un'altro bimbo di sette o otto anni.
- Dobbiamo fa' due palle. Una grande pe' sotto e una piccola pe' la capoccia. - ordina Fabio.
- E le gambe? - chiedo io saputello.
- E che il pupazzo di neve c'ha le gambe?
- E mica lo dobbiamo fa' come lo fanno gli altri. - affermo saputellamente ribelle.
Così lo facciamo con le gambe. Due gambe tonde. Due palle. Una se la beccano i manovali Giulio e Pietro e l'altre mio
fratello Lucio. Marta e Francesca, intanto, arrivano con una carota per il naso, una sciarpa rossa di zia Patrizia (che lei ancora oggi sbandiera sciarpe rosse...) e il cappello di lana
di zio Michele 'u calabrese. Simone, ovviamente, stava sudando perché scappava da zio Eugenio che, mestamente, lo rincorreva sotto l'ordine di zia Stefania.
Il pupazzo del Palazzo Pallotta ormai è fatto.
- Mancano gli occhi - dice zia Luisa da ragionera attenta.
E Marta e Francesca ci mettono due palline da ping-pong arancioni, e poi c'aggiungono tre bottoni sulla panzona, rubati
chissà a quale vestaglia di mamma Ernesta.
L'intera tribù di Palazzo Pallotta contempla il pupazzo di neve. Ognuno dice la sua. Fabio si sente scavalcato nella
gerarchia degli ingegneri. Io, invece, col broncio di chi non è mai stato compreso appieno, faccio "lo spiritoso" (come diceva nonna Giovanna), il "pupazzo" come dice zio Luciano paragonandomi ad
uno dei suoi passerotti che tiene nella voliera "giùalgiardino" ma dietro, dove stanno i minibox per le Bmx e il
Ciaetto della Piaggio.
Io pupazzo. - Fatelo voi se siete capaci! - io e le mie sfide col mondo dei grandi. Ma quelli continuano a discutere di
bottoni, carote, cappelli-di-lana, sciarpe-rosse e palle e contropalle-gambe dell'omino di neve. - Se non vi piace distruggetelo! - minaccio per non essere minacciato.
Mi guardano come il marziano che sono sempre stato per loro. Colpa mia, per carità. Troppo diverso dagli altri bambini.
Troppi sogni detti ad alta voce e col sorriso sul faccione da bimbo calafricano-terracinese.
- Forza! Distruggetelo! - con i pugni stretti sui fianchi.
Loro, i grandi, ridono. Poi guardano alle mie spalle. Qualcuno alza i sopraccigli (che a Palazzo Pallotta ce n'erano di
sopraccigli... i sopraccigli li aveva inventati nonno Pietro!).
Mi giro e il pupazzo di neve non c'è più. O meglio, c'è la neve, i bottoni, la carota, il cappello-di-lana e la
sciarpa-rossa. Ma niente più palle, gambe, corpo e testa. Distrutto.
Al di sopra del mucchio di neve che così bianca chi l'aveva mai vista c'era il piedino scarponcinato di mio fratello Lucio,
come Messner quando conquistava un ottomila.
Opera sua la distruzione. Razionale, per carità, ma pur sempre distruzione. Michelangiolesco più che leonardiano. Sin dalla
culla.
Però l'unico che mi ha sempre ascoltato.
L'unico che mi ha sempre preso sul serio.
Ho detto "distruggetelo" e lui l'ha fatto.
Anche se non era riferito a lui. Come quando Fabio ha detto di scendere "giùalgiardino" e io l'ho detto agli altri cuginetti.
Lui mi ha ascoltato ed è arrivato per primo.
Sarà stato l'85 o l'86, comunque un 9 gennaio, e da quel giorno non ho più fatto pupazzi di neve, ma ho continuato ad avere
sogni a voce alta, il sorriso sulla faccia ormai più terracinese che calafricana e un fratello che mi ha sempre ascoltato, anche quando non parlavo con lui.