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17 aprile 2012 2 17 /04 /aprile /2012 16:08

C'era una canzoncina che ai tempi degli scout mi metteva una certa malinconia.

Faceva più o meno così: 

A come Armatura,

B come Bravura,

C come Canaglia che con me verrà in questura...

 

Ora, tralsciando le scontate battute che verrebbero sulla mia avversione alle armi e armature (Obiettore di Coscienza since 2002!) e alla Questura, la malinconia derivava dalla ritmica atipica della filastrocca e, probabilmente, dall'elenco che, in una canzoncia per bambini ci sta, d'accordo, ma mi metteva un'ansia da prestazione ancor prima di sapere cosa fosse un'ansia da prestazione.

Poi cresco (poco, dicono in parecchi... e non si riferiscono all'altezza!), le armi e le armature diventano oggetto dei miei libri e dei miei spettacoli teatrali, in Questura ci vado per fare il passaporto ma anche perché in Quinto liceo occupai la scuola e le ansie della mia vita le ho somatizzate in un balbettìo che mi vien fuori davanti a persone che mi mettono a disagio (ora tutti a chiedersi "ma quindi quella volta era a disagio con me? Oddio! Cosa ho fatto di sbagliato?" e giù con le ansie da prestazione...).

E vi snocciolo, dunque, il mio elenco alfabetico che ogni scrittore, secondo l'IO scrittore, dovrebbe avere in mente ogni qual volta scrive qualcosa, dal romanzo di formazione alla lista della spesa, dalla poesia alla sua amata alla lettera minatoria al condomine del piano di sopra che cammina coi tacchi alle due di notte.


A: sarebbe troppo facile dire A come Amore, anche se ce ne vuole in quantità da coma diabetologico. Ma ormai l'ho detto, quindi.... A COME AMORE.

B: Bellezza. Bruttezza. Entrambe, in un continuo scambio di vedute sul mondo e sugli esseri umani, perché il confine a volte è così etereo da essere invisibile ad occhi ingenui.

C: Cervello. Cuore. Prima l'uno e poi l'altro. Come in una ricetta in cui, se sbagli una dose o inverti gli ingredienti, finisci per fare un pasticcio.. quando volevi semplicemente fare una frittata.

D: Devozione. Una di quelle fondamentaliste verso il proprio culto che è la Scrittura, composta da miriade di santi chiamati "parole". 

E: Emozioni. Le proprie. Ma anche quelle degli altri. Andare in giro come un segugio, individuando e capendo le emozioni della gente per poi trasporle sul foglio.

F: Fantasia. "La Fantasia è come la marmellata. Bisogna solo spalmarla su una solida fetta di pane." Italo Calvino. Punto.

G: Gioco. Scrivere è un gioco, ce lo insegnano alle elementari, ci insegnano le regole, bisogna allenarsi e continuare anche quando si è stanchi. Sembra un gioco solitario, ma può diventare un gioco di squadra quando diventi un professionista (hai un Editore, un Ufficio Stampa, un Editor e tanti "primi lettori", il Grafico, il Libraio ecc). Poi, se ti sei applicato negli allenamenti e magari giochi pure bene hai anche un pubblico sugli spalti, che ti incita a fare sempre di più, ma ti fischia se hai sbagliato un "passaggio". Comunque la pensiate, scrivere è il più bel gioco del mondo. Ma non un gioco da ragazzi.

H: Habitat. Magari è un po' forzata, ma intendo proprio la stanza in cui si è soliti scrivere, quella dov'è il computer, la vecchia Olivetti Lettera 22, i taccuini Moleskine o il falò per fare i segnali di fumo. L'Habitat è fondamentale per trovare il proprio equilibrio interiore e concentrarsi solo sulla scrittura.

I: Idee. Non singolare. Plurale. Le idee sono le fondamenta su cui costruire, mattone dopo mattone, la nostra storia, dopo aver buttato nella betoniera tutte le parole possibili, averle fatte amalgamare e poi averle distribuite a fil di cazzuola su ogni fila per alzare i muri della nostra casa ideale.

L: Lettura. Per Scrivere bisogna Leggere Libri. Punto e accapo.

M: Metodo. Ognuno ha il suo. Condito da piccoli riti. Scrivere di notte, di giorno, appena alzati, al tramonto. Con la musica in sottofondo, nel finto silenzio della campagna, in treno. Un tempo stabilito o quanto gli pare. Metodo. Come per la musica. 

N: No. Saper dire di NO. A se stessi, ovviamente. Avere il coraggio di cancellare le cose scritte che, una volta rilette, non piacciono più o quelle semplicemente non funzionali. Il NO è una parola chiave. Negare per non annegare.

O: Onniscienza. No, non mi sono montato la testa. Lo scrittore deve essere onniscente su quello che scrive. Deve sapere tutto. Essere dentro la testa di ogni personaggio, anche il più piccolo e insignificante. Deve essere dentro a ogni gesto, ogni dialogo, ogni parola, ogni punto di interpunzione.

P: Penna. L'arma che nessuna tastiera o touchpad sostituirà mai. Ma anche Parole. Più vocaboli si è portati a utilizzare, migliore sarà il risultato della scrittura.

Q: Quaderno. Taccuino, Moleskine, a quadretti o a righe, ma anche foglio bianco. Perché le idee sfuggono come un rapinatore maldestro. E con l'arma di cui sopra puoi stamparlo sulla carta e lavorartelo come un Ispettore bastardo al rientro in Caserma-Cameretta.

R: Regole. Quelle scritte, quelle non scritte. E, infine, le proprie.

S: Scrivere. Non è un contropiede, il mio. Nè un tentativo banale di riempire la casella ESSE. Semplicemente un invito all'allenamento pratico più importante che ci sia. Ci si riscalda con la lettura e poi si spinge al massimo scrivendo, scrivendo, scrivendo fino a che le mani fanno male.

T: Tutto. Sì, serve ogni cosa. Più sai, più conosci, più hai letto, più hai vissuto e meglio è. Ma anche Testa e Talento.

U: Unicità. Ogni scrittore deve prima capire, poi assimilare e infine utilizzare l'Unicità del proprio essere scrittore. Vladimir Propp diceva che ci sono 31 azioni/reazioni a cui il personaggio è assoggettato. Ma l'Unicità sta nel creare attorno a queste 31 cose il proprio mondo.

V: Vita. Attingere dalla tua per dare la Vita ai tuoi personaggi, figli che rimarranno attaccati perennemente al tuo cordone ombelicale. Perché tu sei Madre e Padre allo stesso tempo. 

Z: Zeta. Per dire Fine. Uno scrittore deve conoscere la Fine della storia che sta raccontando. Anche prima di conoscere l'Inizio. Ma anche saper dire basta quando un'idea sbagliata ci porta in alto mare e a salvarci ci può essere solo una Zattera. Che inizia per Zeta. Come la Fine.

 

Fine.



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5 aprile 2012 4 05 /04 /aprile /2012 13:12

Faccio outing.

Anche se quei pochi che mi conoscono bene lo sanno già.

Prendete carta e penna, togliete il tappo alle vostre macchinette fotografiche e mettete in modalità Rec le vostre videocamere.

Are you ready???????

Dico, scrivo, sottoscrivo, dichiaro, firmo e controfirmo che il sottoscritto MASSIMO LEROSE è un Senzadio, un Senzapatria e un Senzacredopartitico.

No, non ho detto Ateo, Apolide e Anarchico.

Ho semplicemente dichiarato la mia estraneità alla maggioranza, che purtroppo non è neanche più silenziosa come una volta, vista la cattiva funzione che hanno su di essa i Social Network, alla maggioranza, dicevo, delle idee precostituite e preconfezionate e incanalate sugli scaffali dei grandi supermercati costruiti per rincoglionire.

Ho le mie idee su tutto.

Idee nate nella pancia, ataviche, nutrite poi a forza di curiosità, di non fermarsi mai per partito preso al primo che dice "io ho la Verità", e infine cresciute, in un continuum modellante, che continua e continuerà sempre, perché solo così ci si comporta onestamente con se stessi. Continuerà fino all'ultimo giorno del nostro passaggio sulla Terra. E forse anche dopo. Nessuno ha la Verità per dimostrarlo.

Ho le mie idee su tutto.

E crescendo ho fatto mio il motto: "Non condivido ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo."

È finito il tempo dell'avversità, dell'essere contro. Quel tempo ribelle dell'adolescenza in cui scagliarsi verso per offendere. 

Ora è tempo di essere pro, a favore delle cose che ritengo giuste, andare incontro a braccia aperte per accogliere, anche chi ha idee diverse dalle mie, in modo da arricchire il mio bagaglio.

Ed eccoci giunti alla parte più complicata del mio percorso evolutivo: NON GIUDICARE.

Attenzione, il NON GIUDICARE riguarda solo l'ambito pubblico. Non giudicare in pubblico perché o si conosce come se stessi una cosa o non si può giudicare. E siccome ho imparato che conoscere se stessi è complicato quanto studiare fisica quantistica...

Nel mio intimo lascio libere le mie capacità critiche per aiutare la conoscenza, per farla amalgamare a nuove esperienze. Ma mai in senso negativo. Anche se il giudizio riguarda la cosa peggiore del mondo (sempre secondo la mia percezione, ovvio) cerco di scavare, come una talpa ma mettendo un bel paio di lenti perché la cecità non porta da nessuna parte.


Senzadio non è Ateo.

Ateo è riduttivo e, soprattutto, spregiativo. Viene usato da chi vuol mettere in cattiva luce chi non la pensa nel suo stesso modo. Viene usato col tono schizzignoso nel quale vengono usati anche gli altri aggettivi che riguardano le altre religioni e/o filosofie.

Senzadio. Tutta una parola. Senza QUEL determinato dio che le grandi religioni monoteistiche pretendono di ergere a Verità. Ma anche senza tutti gli altri, dai classici orientali Buddha e Shiva, agli ormai  demodè Zeus a Manitù.

Senzatuttiglidèi. Che per antitesi sarebbe anche Contuttiglidèi.

Proprio perché non sono contro. Ma sono a favore di.

Studio, leggo, mi informo. Faccio mie quante più cose possibili. E cerco di prendere il buono che c'è in tutte le Filosofie (perché, checché ne pensiate, quelle sono le Religioni, almeno nel concetto nascituro di ognuna di esse). E provo a capire anche le cose peggiori.


Senzapatria non è Apolide.

Ovvio che per Legge io una cittadinanza ce l'abbia:

Stato Italiano, Regione Lazio, Provincia di Latina, Comune di Terracina.

Ma se uno volesse essere pignolo zona "Ju Vialone". Ma dalla parte di Azzola e non di San Damiano. Lato Mare e non lato fiume. Scala A. Primo Piano. Interno 1. 

E pensandoci bene la mia cameretta è in fondo al corridoio a destra... dopo il cesso.

Però se uno scava, sulla carta di identità c'è scritto: Nato ad Alatri, Provincia di Frosinone. Ciociaria.

Ma allora io chiedo a mamma e papà e scopro che sono stato procreato alla Spiaggetta, Terracina centrissimo.

Però qui qualcuno si offende e dice: "Eh no, bello mio, tuo padre è calabrese!".

E io risponderei "Se per questo 3 nonni su 4 erano calabresi, anche la mamma di mia madre che è terracinese di dentro le mura!".

E se uno volesse fare un tunnel nel dna scoprirebbe avi marchigiani, romani e vai a sapere poi...

Sono un Senzapatria. Tutta una parola. Perché mi sento cittadino del mondo. E mi comporto da tale. Da sempre. Anche quando ero piccolo e non ne avevo la coscienza. Cittadino del mondo con la piena coscienza di dove sono nato, di dove sono cresciuto. Ma anche dei luoghi in cui ho studiato, lavorato, vissuto e che ho visitato. 

Prendere coscienza senza giudicare prima. Senza pregiudizi. Ma giudizi sani e costruttivi, quelli sì.

 

Senzacredopolitico non è Anarchico.

Che poi, stesso discorso che ho fatto per gli altri due termini di cui sopra, se ci limitassimo al significato della parola l'Anarchia non mi farebbe neanche schifo, anzi... "la concezione politica basata  sull'idea di un oridine fondato sull'autonomia e la libertà degli individui". Ma siccome conosco i miei polli, gli essere umani, che sono stati, restano e saranno sempre degli animali, nel senso buono del termine, comprendo benissimo che non possa esserci siffatta utopia.

Ma detto questo ribadisco il mio essere Senzacredopolitico. Tutta una parola.

Ho le mie idee anche su questo argomento. Ma, badate bene, non ideologie, soprattutto non di convenienza come da sempre l'uomo è portato a fare riguardo la Cosa Pubblica (ma anche fosse Privata sarebbe uguale).

Ho sempre avuto la mia concezione di mondo, di giustizia, di uguaglianza, fraternità, libertà. Concezioni che si sono a volte smussate, a volte si sono accentuate e altre ridotte. Come è giusto che sia nel piano evolutivo della vita.

 

Nessuno ha la Verità. 

E chi dice o pretende di averla lo fa solo per interesse. Il proprio.

Ma è giusto cercare di avvicinarsi più possibile. Per se stessi.

Senza pregiudizi.

Ma scavando a fondo.

Cercando di capire.

Cercando.

Anche non capendo.

Ma cercando.



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3 aprile 2012 2 03 /04 /aprile /2012 14:28

Cominciamo con questo video 

Un derby. Un autorete. 

Per chi non ama il calcio, lo sport e tutte le conseguenze socio-antropologiche che ne derivano non può capire ciò che sto per scrivere. Oppure gli basterà un po' di buon senso e acume mescolati ben, benino.

L'uomo vive di emozioni. E chi non lo fa perde tutta l'essenza della vita stessa.

Il calciatore è un uomo. Ed ha la fortuna di fare un "mestiere" che è un gioco, il gioco che ha sempre fatto da bambino, in cui magari è anche bravo, ha sudato e ora lo pagano tanto, tantissimo, pure troppo. Però è un lavoro: ha un datore, orari, contratto ecc.

Ma a questo uomo gli si perdona anche di prendere miliardi, perché i tifosi, uomini anch'essi, vivono delle emozioni che lui può dargli.

Il massimo delle emozioni, la partita per cui le emozioni cominciano a girare vorticosamente già da giorni prima, quella per cui calciatori e tifosi vivono, è il derby.

L'emozione in negativo peggiore è un autogol. Se poi è fatto nel derby e porta alla sconfitta la tua squadra potete solo immaginare come si senta quel calciatore.

 

Un derby. Un autorete.

Ultrà che ti chiedono di perdere. 300 mila euro.

Tutto finto.

La partita è finta. Il gesto atletico è finto.

I tifosi sono finti. 

Solo i soldi sono veri. Ma sono finti, non sono sudati.

Prendo ad esempio Masiello che nel derby Bari-Lecce fa autogol apposta e regala la vittoria ai salentini intascando i soldi delle scommesse.

Masiello ha tradito se stesso prima ancora che i tifosi del Bari, ma anche quelli del Lecce, quelli veri che non accettano di vincere una partita falsa, finanche un derby con l'odiato Bari. I tifosi TUTTI del calcio e dello sport.

Ha tradito il se stesso bambino, quello che correva felice dando calci ad una palla.

Masiello è lo specchio socio-antropologico di uno Stato e di un Popolo che, per la maggior parte, non sa vivere delle proprie emozioni, che crede nel dio denaro come uninca fonte di felicità. E perde l'essenza della vita stessa.

Masiello delinque. L'Italia, molte volte, pure.

Masiello non si emoziona. L'Italia, troppo spesso, pure.

E perde l'essenza della vita stessa.

 

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20 marzo 2012 2 20 /03 /marzo /2012 17:28

Ma sì, ammettiamolo: è uno dei miei giochi preferiti sin da bambino.

FARE ELENCHI E CLASSIFICHE.

Manco fossi lo stampatore del Wyoming che ha inventato le Pagine Gialle o una Maria Teresa Ruta qualsiasi alle prese con la Serie A quando la Domenica Sportiva la presentava Sandro Ciotti mica quel canotto gonfiabile e gonfia-bile.

Di norma, la mia norma, sono classifiche impostate su "i migliori 5" o, al massimo e per Massimo, 10. Stavolta voglio esagerare e, come diceva il pubblico prezzolato di "Ok il prezzo è giusto" mentre la Zanicchi invece di cantare partecipava al programma di riconglionimento di massa chiedendo al concorrente-elettore di turno di girare la ruota: Cento! Cento! Cento!!! link

Le cento cose che mi hanno cambiato la vita, che mi hanno formato. In ordine sparso e non d'importanza. Cento quante gli articoli pubblicati sul blog Scrittori Pericolosi. Traguardi. Tagliati per ultimo, quindi sconfitte. Tagliati per primo, e siano vittorie. Ma anche tanti arrivi in gruppo, quei bei pareggi che solo gli stolti vedono come insuccessi. Cento fatti, luoghi, persone. Un pezzo di strada lunga (quasi... ancora 5 giorni) 34 anni. Cento cose per poter dire "Ok il PEZZO è giusto".

 

1 - I "quadri" in cui campeggiavano, alla riga col mio nome e cognome, tre bei 5 in rosso: matematica, francese e italiano. E la parola bocciato che mi aprì un mondo di nuove conoscenze e di apprezzamento delle sconfitte.

2 - Quella volta che, nonostante il "soprafondo" di una band rock, ti ho ascoltata sfogarti per due ore e ho capito che saresti diventata la mia migliore amica. Ma non potevo neanche immaginare tutte le cose che abbiamo fatto e che continuiamo a fare insieme. Ora te l'ho detto. Ecco fatto!

3 - Quando con la mia prima telecamera, la mia prima ripresa fu per Nonna Giovanna, che dopo qualche giorno si sarebbe presentata col suo accento dello Stretto e gli occhi timidi a quello che lei credeva essere San Pietro e che, siccome ci credeva davvero, quella volta doveva essere proprio lui in barba e ossa.

4 - Il giorno che uscì il mio primo libro, APNEA, che poi è il giorno che conobbi dal vivo il mio editore, oggi vero amico, Andrea Giannasi. Agli aerei che passavano sulla mia testa sulla Roma-Civitavecchia, al Cirò Rosso "Special Edition Lerose" che stappò mio padre e all'emozione composta di mamma che sin da bambino ha sempre creduto in me.

5 - L'uscita dalla fitta giungla nepalese, dopo un impervio cammino sul sentiero costruito dai monaci tibetani, con i calzini di spugna bianchi che si erano fatti rossi per le sanguisughe, e una volta arrivati in cima a un tremila, capire la relatività della parola cima, perché di fronte a noi si stagliava, in tutta la sua maestosità, il candido tetto del mondo: l'Everest. La bellezza dell'impotenza di fronte all'immenso.

6 - Gli ultimi trenta chilometri che le nostre biciclette hanno portato me ed Enrico Locatelli da Kebili a Douz, la fine dell'asfalto e le ruote inghiottite dalla sabbia gialla e infinita del Deserto del Sahara. E io come un granello del ciclo della vita.

7 - Il primo passo con cui ho calpestato il palcoscenico, il mio primo vestito di scena e la mia prima battuta. Avevo tre anni e una passione grande così.

8 - La mia mano che imbocca papà steso sul divano della vecchia casa, il suo trattenere le lacrime di dolore per non farmi soffrire, mentre in tv davano la finale di Coppa Campioni Sampdoria-Barcellona. Quando si scopre che l'uomo più importante è vulnerabile.

9 - Le parole calme e dolci della Dottoressa Giardino che mi hanno ridato la forza di affrontare di nuovo il palcoscenico.

10 - Il primissimo bacio rubato a una bambina quando ero all'asilo; il primo bacio alla francese sotto la pioggia e a comandare, ovviamente, era lei, appoggiata alla vasca dove si lavavano i panni "giùalgiardino".

11 - Il Signor Bischofberger (o come diavolo si scrive) che mi ritrovò a passeggio per le vie di Wangen e mi riportò a casa degli zii dove la disperazione regnava sovrana. Avevo tre anni. Ero solo. Mi ero perso. Ma non lo sapevo. 

12 - Il giorno che sono andato a vivere da solo su al Centro Storico... e quello in cui la stronza della padrona di casa mi ha sfrattato senza preavviso.

13 - La paura del primo esame universitario, Storia e Critica del Cinema, il panico per non riuscire a superare l'ultimo, Lingua e Letteratura Spagnola, quando la tesi era già pronta da due mesi, e poi la gioia per quel "pezzo di carta".

14 - Ero seduto in fondo al pullman, non ricordo di ritorno da quale uscita con gli scout; avevo un walkman bianco mezzo scassato e Claudio mi prestò una cassettina fatta in casa. C'era scritto a penna QUEEN.

15 - La luce della piana di Giza, l'atmosfera irreale e la consapevolezza che l'uomo cerca qualcuno nell'aldilà perché ha semplicemente paura della grandiosità di certi uomini aldiquà. 

16 - La prima volta.

17 - La sera che affrontai una delle mie paure per poter completare una delle mie passioni. Una casa all'ottavo piano di Via Tiburtina, buia e deserta. La videocassetta che manda Shining e io che, alla fine del film, vado a dormire con la consapevolezza che l'orrore è intorno a me ma che un capolavoro, spesso, può annientarlo, almeno per due ore.

18 - Quella volta che a guardare lo spettacolo c'erano solo 11 ascoltatori e quella in cui recitai il monologo di Novecento davanti a millequattrocento persone. Perché la voglia è rimasta uguale come il dare il massimo per ogni singolo spettatore.

19 - Mamma si siede sul letto e mi racconta le favole.

20 - Il giorno che al Salone del libro di Torino ho presentato MALARIA, che poi è lo stesso in cui, fra un bicchiere di vino e un'emozione pensando alla mia città, ho creato il TERRACINA BOOK FESTIVAL.

21 - Quei 500 km luttuosi, con un "non si sa se arriva a stanotte", e poi l'abbraccio sulla scalinata fra papà e Zio Nardo, mentre Nonno Ciccio aveva finito di soffrire. E il ricordo di quando, seduto a tavola silenzioso e dolcissimo, gli accarezzavo i capelli dietro la nuca e lui rideva come un bambino.

22 - Avevo circa dieci anni e, entrando a casa dei nonni, chiamo, ma nessuno risponde. Sento canticchiare in bagno. Ovviamente spalanco la porta senza chiedere permesso e mi ritrovo Zia Patrizia sotto la doccia. Stupore. Perché il mio sguardo si sofferma solo, esclusivamente, su quel triangolo nero? Mah...

23 - La psicologa (non faccio nomi perché sono un signore) della scuola elementare che, non so con quale laurea, a un mio stato d'animo un po' ansioso (ps "anche ai bambini possono girare i coglioni" Freud, Jung o Niculine i' piattare, non ricordo...) e a una mia banalissima ripetzione della prima sillaba di una parola (UNA!!!), pensò bene di trattarmi come un malato mentale (con tutto il ripsetto, per carità!) e farmi ripetere e spezzetare le parole in sillabe. Per la serie "come accrescere l'ansia in un bambino e farlo sentire fuori luogo in ogni conversazione: la balbuzie ringrazia!".

24 - Nonna Annina che mi racconta, fra aspirate calabre e risate da bambina, la "fuitina" con Nonno Ciccio il giorno prima del matrimonio, quando il padre le concesse per la prima volta di stare da soli per 5 minuti dopo un anno intero in cui non si potevano neanche rivolgere un "bona jurnata" per strada. 

25 - Come il giorno in cui sono nato. Il mio natale.

26 - Il gesto solenne con cui riposi IL SIGNORE DEGLI ANELLI sulla libreria, conscio di essere cresicuto grazie a Tolkien e a tutti i suoi insegnamenti.

27 - Accompagno papà alle prove della Filodrammatica. Il regista Genesio Cittarelli, un uomo dall'aria burbera ma con il cuore grande che assomiglia nei modi a mio nonno materno, mi fa "Se ti dico una frase tu la sai ripetere?". Io ripeto. Col tono e la faccia giusta. Avevo tre anni e non sono più sceso dal palcoscenico.

28 - Durbar Square di Kathmandu, Nepal. Un bimbo con solo un magliettina addosso è seduto in mezzo alla fogna a cielo aperto. Gli do una barretta di cioccolato tipo Kinder. Mi ringrazia col sorriso, la apre come fosse una reliquia, sta per morderla, poi ci ripensa e chiama un altro bimbo poco più piccolo. La spezza e fanno un po' per ciascuno.

29 - Dal fischio dell'arbitro al mio piede contro la finestra della scale passarono forse 10 secondi. La partita era Toro-Juve. Si era sul 3-2. E ovviamente fischiò rigore per i gobbi. Vetro infranto, paura di tutti e cazziatone di papà. Rischiai grosso ma non mi feci tanto male. E cominciai a capire che, in fondo, è una, seppur meravigliosa e appassionante, partita di pallone. Ah, per la cronaca: Pastine parò il rigore a Ravanelli e il Toro vinse.

30 - Il SI della Piaggio comprato con i soldi del lavoro da cameriere.

31 - Partita di campionato Mini-Basket. Terracina-Fondi. L'arbitro fece, a giudizio di un ragazzino che era agonisticamente coinvolto, un mucchio di errori che, sempre a quegli occhi, si trasfrormarono in premeditate cattiverie per farci perdere contro i "ricchi" della provincia. Esco per 5 falli, anzitempo. Rientro negli spogliatoi furioso. Esco nel parcheggio e cerco il pulmino del Fondi. Gli stacco la targa a calci. Il coach Saverio mi prese da parte e mi spiegò che la rabbia agonistica la dovevo catalizzare solo in campo e dimostrare di essere un giocatore grintoso ma leale. Dopo due giornate di squalifica tornai e l'unica arma che avevo, la grinta, mi aiutò fuori e dentro il campo.

32 - Un palchetto tre metri per tre, un tavolino e una poltorna come scenografia, l'odore di salsicce che proviene dagli stand di Piazza Cipollata e un freddo dicembrino che non tarpa le ali al primo volo de La Zanzara.

33 - Quella sosta in autogrill, papà che parcheggia la 127 blu che ai miei quattro anni sembrava un astronave e mamma che inserisce una musicassetta. Da allora la mia filosofia di vita: SONO SOLO CANZONETTE.  

34 - Le luci che si abbassano, il video che parte e la prima assolvenza alla presentazione di AD OCCHI CHIUSI, il mio primo cortometraggio. La prima volta che portavo a termine professionalmente un lavoro inziato come altri mille... ma mai realizzati. 

35 - La Route. io e Andrea "Baloo" Orlandi in cammino, zaino in spalla, con i nostri sedici anni, la tenda da montare, le stelle, le chiacchiere, il fuoco di bivacco e una cena frugale.

36 - La mia prima storia scritta. A 4 anni. Era un fantasy a fumetti. Tralascinado i disegni, pessimi come continuerebbero ad esserlo se li facessi ora, la storia ha già molto della mia scrittura che, ancora in fase di evoluzione, presenta segni caratteristici. Si intitola "Nel paese di Fruttolandia". 

37 - La vista della copertina di un DVD con Telly Savalas nella sua cameretta e la scintilla artistica che divampò in incendio "mastrilliano" e non solo con l'amico Enrico Tribuzio.

38 - 4 mesi al Serené Village con tutte le persone e le esperienze concatenanti che mi hanno portato ad altrettante esperienze lavorative sempre a un livello maggiore.

39 - Crescere, secondo di dodici cugini, nello stesso palazzo con giardino in cui tutti i santi giorni c'era qualcosa da inventare per giocare. Altro che Playstation!

40 - Assistere ad un funerale induista sul fiume Trisuli e mentre il corpo della donna bruciava sulla catasta avvolta da lenzuola bianche e arancioni vedere i bimbi giocare a due metri di distanza sguazzando nell'acqua sacra come nulla fosse. Il ciclo della vita.

41 - Un uomo dagli occhi vispi, la voce sicura e le idee geniali. "Chi di voi sa cucinare? Quelli che non hanno alzato la mano possono lasciare l'aula: non diventerete mai degli scrittori!". Vincenzo Cerami. E anche il 30 (uno dei rarissimi) che mi diede all'esame di Scrittura Creativa e la sua frase "Tu puoi farcela davvero!".

42 - Piazza di Cirò, vacanze estive. Salivo su una panchina e arringavo le folle di vecchietti, signore a lutto perenne e venditori di gelati. Senza microfono. Avevo 3 anni.

43 - Il concorso alla Scuola Nazionale di Cinema. E l'ingenuità con cui ero andato a farlo. E la scoperta del "sistema Italia".

44 - La visita ai Musei Vaticani con Nonno Pietro e Lucio, partendo dal trenino dei Puffi da Terracina passando al pranzo che ha pagato il Boss tacciato di tirchieria, per concludersi, dentro la Cappella Sistina, con l'artista Pietruccio Pallotta che, contemplando il collega Michelangelo, chiosò "Chissà chist' quanto cazz' c'ha speso!".

45 - Terzo Liceo Classico. Ultimo anno. Dopo l'Assemblea d'Istituto occupiamo la scuola. Tutti. Suonata la prima campanella se ne va la metà. Al suono della secondo rimaniamo 20. Poi in 4: io, Matteo, Vincenza e Christian. Lo striscione "Scuola Okkupata", due poliziotti che giocano a carte con noi, il Commissariato e il manifesto fuori il Da Vinci "Lerose Libero" con le firme di tutti compresa quella del Sindaco Recchia!

46 - Ai miei polmoni che hanno gridato per richiamare l'attenzione di papà e zio Oscar mentre mio fratello stava affogando dentro una "pozza" a Ponza. 8 anni io, 5 Lucio.

47 - Tunisia: la notte che ho dormito (?) nella stazione (??) di El Jem, i 100 km in bici lungo il lago salato Chot el Jerid in un solo giorno con 38 gradi, il vero Hammam e quella ragazzina che al bordo della strada ci regalò (!) il pane perché "voi Italia, grazie! Grazie Craxi!".

48 - Vari "provini su parte" che si trasformavano in sfilate di moda, "se ci dai tot la parte è tua" o altre richieste discutibili.

49 - Le persone che tentarono di far chiudere la Compagnia teatrale La Zanzara chidendomi di lasciare il posto da Regista, la loro faccia stupita al mio assenso (per metterli alla prova) e quella di rabbia constatando le proprie incapacità. La democrazia si impara anche così.

50 - Canotto. Verso la boa. Papà mi butta in acqua e si tuffa con me. Poi mi lascia e mi dice di nuotare da solo. Annaspo. Ho paura. Poi l'istinto, i piedini veloci e le braccia acchiappatutto. Il mare. Punto.

51 - I dieci mesi di Servizio Civile come Obiettore di Coscienza presso l'Ospedale.

52 - Il Louvre, il Prado, gli Uffizi, il Reìna Sofia, Orsay e tutti, ma proprio tutti i musei in giro per il mondo che ho visitato.

53 - L'emozione di recitare su al Tempio di Giove con, alle spalle del pubblico, l'intera costa illuminata e un cielo stellato senza pari (perché mio).

54 - Tutte le nascite e le morti di amici, parenti o persone più o meno famose a cui sono legato, perché in ognuna un pezzo del nostro ingranaggio vitale si modifica.

55 - La maestra Finalba delle Elementari.

56 - Il cammino zaino in spalla per la provincia francese di Champagne-Ardenne fino ad arrivare alla Cattedrale di Troyes. Il senso di comunità con gli altri fratelli e sorelle che percorrevano quel cammino.

57 - Il primo concerto della mia vita: Edoardo Bennato allo stadio di Borgo Hermada. E tutti quelli a seguire, i due Vasco (Olimpico e Latina), i 3 dei Negrita, altre due volte Edo, i 99 Posse, Carboni, Baccini, i tanti Primo Maggio a San Giovanni, i Litfiba con mio fratello, Mannarino e tanti, tanti altri.

58 - Fare ricerche per la mia tesi di laurea e 6 anni dopo vederla pubblicata come saggio sul cinema di Kubrick e ricevere gli apprezzamenti dal mondo accademico e, soprattutto, dai fans. Un grazie anche al professor Maira, regista e grande uomo.

59 - Asilo. Dei miei compagni nel giardino intrappolavano lucertole e io le liberavo. Istinto, testa e cuore.

60 - Il professor Enzo Rosato che nel triennio finale del Liceo Classico mi ha fatto amare, con la passione che gli è propria, la letteratura e, alla Robin Williams, mi ha fatto capire che "parole e idee possono cambiare il mondo".

61 - Gaeta, Sperlonga, Norma, Sermoneta, Ninfa, Parigi, Garfagnana, Lucca, Torino, Lecce, Modena. Visite, incontri, lavoro e piacere tutto in un anno. Non a caso. In fila. Come una caccia al Tesoro.

62 - Quella volta che, senza casco col Ciao rosso di Papà, scappai di fronte al posto di blocco della Municipale davanti alla Posta di Viale Europa. Avevo 14 anni.

63 - Ogni Festival Letterario, dal famoso Salone del Libro di Torino alla più piccola presentazione di un mio libro. Le domande, le risposte, le letture, le critiche, i consigli dei lettori veri.

64 - Il giorno che papà tolse le rotelle alla bicicletta e mi disse "è ora che vai da solo!".

65 - Tutti i bimbi e le bimbe che ho fatto recitare nei mini-Musical dopo soli 5 giorni di prove durante gli Sport Camp. Le loro emozioni, i loro sorrisi, il loro "grazie".

66 - Mangiare il couscous da un unico piatto condividendolo con altre 5 persone. Con le mani e seduto in terra come da tradizione araba. Eravamo sulla strada per Hammamet e ci ospitarono sotto l'ombra dei pini vicino al mare.

67 - Tutti i compagni delle Elemantari, sezione C della scuola Arene, e buona parte dei compagni delle due classi che ho avuto al Liceo da Vinci, sezione B del Classico. Le medie le ho odiate, i ragazzini e le ragazzine a quell'età possono essere di una cattiveria seriale.

68 - Le estati a Cirò con gli zii e i cugini. I cornetti appena sfornati nel forno di zio Quintino, le abbuffatte "mangia ca sinnò ti sciupi" e i bagni nell'acqua subito profonda.

69 - Quella vigilia della Befana che, dopo aver portato la calza su da nonna poggiandola sul camino, finsi di dormire e poi sbirciando da sotto le coperte scoprii che in realtà erano mamma, zia Patrizia e zia Luisa a mettere i dolcetti e il carbone nei nostri calzini. Idem per Babbo Natale: aveva la montatura degli occhiali di zio Eugenio.

70 - Le nottate a scrivere la commedia teatrale "Calcio, Cimici e Caffé" con Gregorio Casanova e Fabio De Marco. E anche il provino per Zelig fatto a Rimini.

71 - Due momenti distanti qualche anno, due situazioni analoghe: una comitiva di amici che stava senz'altro meglio senza di me, con la codardia di non sapermelo dire. Due lievissime sofferenze che si sono trasfromate in consapevolezza che l'Amicizia è ben altro della Conoscenza.

72 - Il tempo di preparare una macchinetta da due/tre tazze per assimilare la mia spiegazione, il tempo che il caffé sale per "schizzare" sul foglio quella che sarà la copertina del mio secondo romanzo, il tempo di uno sguardo e un sorriso per farmi capire che grande uomo è Luciano Cisi.

73 - Il Pandino rosso.

74 - La saga del capro espiatorio di professione Benjamin Malaussene. Grazie al suo autore Daniel Pennac ho capito che era possibile quella mia bislacca idea di creare delle "commedie gialle", dei "thriller in cui si sorride anche", come IL SOLITARIO.

75 - La Zenit-E di fabbricazione russa, la Polaroid, il mito delle diapositive, la prima digitale che mi rubarono all'autogrill di Modena e in generale la passione per la fotografia.

76 - Quella notte del 31 luglio del 1991 che a me e a mia cugina Marta rubarono le biciclette sul lungomare mentre eravamo ad una festa in spiaggia. E i due insegnamenti: "le cose a cui tieni prima o poi e in un modo o nell'altro spariscono", e "quando vanno via i villeggianti non devi mai lasciare incustodite le cose".

77 - La curiosità, mai morbosa, per tutto ciò che è diverso, dal carattere di una persona a un piatto tipico straniero.

78 - L'anno in cui sono nato.

79 - La collezione di materiale (libri antichi, fotografie, stampe ecc) su Terracina, il suo studio e la consapevolezza dei mille perché amo la mia città.

80 - La prima volta che con la barca di zio Nino sono andato a largo di Terracina e mentre lui pescava io ragionavo sulla prospettiva da cui si guarda il mondo. Dieci anni.

81 - Le Moleskine (e la penna) sempre con me: aereo, treno, pullman, metro, macchina. Perché un'idea ci mette un attimo a fuggire via.

82 - Quando nel salotto di casa mettevo su una videocassetta, guardavo una scena, poi pigiavo Pause e rifacevo la scena, con le stesse battute, la stessa voce e le stesse azioni. Creatività copiativa.

83 - Fra un caffé con una bustina di zucchero di canna e un Sanbitter con qualche oliva, fare la conoscenza di Giorgio Molinari, collega grandioso, amico carissimo e uomo "micacazzi". Ogni pagina, ogni riga, ogni battuta che scriviamo inseime è una gioia.

84 - Dicembre 95. Dopo 17 anni e mezzo vissuti a Palazzo Pallotta con i nonni, gli zii e i cugini, ci trasferiamo nella nuova casa.

85 - Da piccolo, quando avevo fame fuori dai pasti, nonna mi preparava pane, acqua e zucchero. Altro che le merendine!

86 - La domanda frequente "Tu che lavoro fai?". E il modo con cui ho imparato a rispondere sorridendo. "Niente."

87 - Il primo film visto al Cinema. Biancaneve e i sette nani. Eravamo al Fontana con mamma e papà. Poi l'hanno chiuso. Ora c'è uno pseudo Centro Commerciale.

88 - Ero sugli spalti del Palazzetto dello Sport a vedere il Basket e non riuscivo più a distinguere i numeri del tabellone elettronico. Avevo sedici anni. Miopia.

89 - Quella volta che lasciai il corso di pianoforte dopo tre lezioni perché mi rompevo i coglioni a fare il solfeggio. Io volevo già suonare. Ma a sei anni è capibile.

90 - La luce spenta per la prima volta e dalla porta aperta della cameretta vedevo le ombre del corridoio e immaginavo mostri. Paura. Ma sotto le coperte sei protetto. Come trovare alternative per salvaguardare se stesso. 

91 - L'allergia agli acari della polvere.

92 - Aver aiutato un caro amico contro la sua patologica propensione all'estraniamento e vederlo oggi molto più socievole per aver ripreso la sua vita in mano.

93 - Le albe nel deserto tunisino, quella in cima a un monte appenninico dopo un'uscita notturna, quelle da Monte Giove. I tramonti dietro l'Himalaya, quelli alle spalle di Monte Circeo l'inverno e quelli Lungo Tevere.

94 - L'estate in cui lavorai al cantiere degli zii a Badino, fra vasi di cemento, stampi, statue e quelle in cui feci il cameriere in varie pizzerie e ristoranti. 

95 - Il palco all'aperto nel Parco di Cavirglia che mi ha visto protagonista per 5 estati consecutive. Le stelle fra le fronde degli alberi prima che si accendessero le luci e il brusìo di un pubblico innamorato che aspettava solo me.

96 - L'importanza di aver capito che la mia felicità è imprescindibile per vivere.

97 - L'unico insegnamento che mi hanno dato i miei genitori: gli uomini sono tutti uguali nella loro meravigliosa diversità.

98 - Un mese di corso di Batteria dal maetro Palmacci e poi la scoperta della scoliosi. Busto. Dodici anni. Io e la musica: non era destino.

99 - Nonno Pietro che, dopo aver finito di suonare la sua inseparabile fisarmonica, mi raccontò per filo e per segno la guerra, la sua prigionìa e la fuga da Patrasso.

100 - L'ultima volta... ma questa spero di aggiornarla a breve!



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5 marzo 2012 1 05 /03 /marzo /2012 10:46

Uno ai Festival Letterari ci va per una ragione primaria, ancestrale, fisica: nutrire il proprio fabbisogno di parole. Altrui. Ché sennò uno se ne sta alla Robert De Niro a parlarsi allo specchio come in Taxi Driver e pancia mia fatti capanna!

Uno ci va perché lì ci sono questi "altrui" che non conosce nessuno o poca, troppa poca gente, e a quella sommata c'ho già messo zie, cugini di secondo grado e panietteri sotto casa. Ché se cerchi i tipi della Mondadori o Feltrinelli te ne puoi pure andare in libreria a comprarti il Best Sellers che non è mica Peter Sellers. Ti chiedono se hai la carta, se paghi con la carta, ti in-carta-no il Vespa-Volo-Brosio di turno ed esci con un po' di carta in più, che poi vai a vedere se sarà carta pulita, linda... igienica, insomma.

Uno poi ci va, e diciamocelo perché lo spauracchio "crisi" lo permette (art. 1 comma 7 del telerincoglionimento in atto da trent'anni), uno ci va perché ci sono gli sconti. Si trovano dei libri scontati, ma non banali. Libri capaci di contenere parole; molto capaci, libri recipienti. I prezzi si abbassano come nei saldi e i soldi si "alzano" ("aò che c'avresti quarche spiccio che devo da comprà un libbbbro?"). Sconti. Ma non per tutti. Sconti per tutto lo stivale scalzo, dai mari o dai monti. Ma non per Mario Monti.

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Poi capita che per pubblicizzare il lancio del nuovo numero di una rivista letteraria c'è qualcuno che ti regala un milione di dollari che manco Berlusca ai tempi d'oro gli veniva un'idea così, al massimo era un milione di posti di lavoro... ma vuoi mettere il lavoro coi soldi? Due termini in antitesi... due Termini Imerese, ma col cachemire che ti danno un lavoro... oltre il danno la beffa.

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Ti regalano 'sto milione di dollari, insomma, e allora tu da bravo italiano raccogli il contante e fingi un po' di curiosità per Prospektiva ( www.prospektiva.it ) SAM_1785.JPG tutta agghindata con una sfavillante busta color oro in cui ci si specchia, ci si riflette, si riflette e, leggendo accuratamente racconti sul Falso non puoi non pensare alla falsa crisi economica, al falso spread e al falso in bilancio.

Bilancio del Modena BUK Festival (FALSO): Pessimo.

1 - Se hai fame e chiedi dei Panini ti danno delle figurine. Colla fame che ho... mangerò la colla.

2 - Dicono sia la città di Ferrari ma van tutti in giro in bicicletta.

3 - Gli scrittori invece che cinti di alloro qui li cingono con una ghirlanda piccola... una Ghirlandina. E AllorO! Che MODE(na) lanciano in codesta città! 



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29 febbraio 2012 3 29 /02 /febbraio /2012 12:25

"Con quella faccia un po' così

quell'espressione un po' così"

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I versi di Paolo Conte, che aodro, mi fanno pensare a due tipacci, che adoro e di cui sono felicissimo di essere amico: Luciano Cisi e Giorgio Molinari. Hanno tutti e due quell'aria sorniona ma buona, quei baffi sotto i quali fuoriescono parole mai banali, sorrisi sinceri abbinati a occhi che sanno guardare oltre.

Un disegnatore (ma quanto è riduttiva la parola lo potete capire visitando il suo blog http://notnottana.blogspot.com) SAM_1593.JPG

Uno scrittore (ma per l'occasione fotografo, più come cacciatore di spunti per i suoi romanzi che per altro. http://www.youtube.com/watch?v=wyKqJIfyvsA ) images-copia-1.jpeg

Insomma, insieme ai due tipacci, Luciano di Latina e Giorgio di Roma, è capitato, a me che son di Terracina, di fare una passeggiata per l'Appia antica nel tratto che va da Fondi a Itri. Mezzo Lazio in un sol boccone.

Passeggiata gradevole per diversi aspetti, non solo naturalistici, storici e, perché no, metereologici (che per uno come me, che vivrebbe in un chiringuito con le infradito tutta la vita, dopo la mirabile visione della neve al Circeo che aveva un po' rotto le cosidette, vedere e sentire quell'area sanbenedettina era come la prima volta, fate voi di cosa); l'esperienza è stata totalizzante perché si è respirato cultura a 360°.

Per me, che non son capace neanche di raffigurare la classica casetta col camino e l'alberello nel giardino che ci obbligavano a fare in terza elementare, vedere Luciano Cisi disegnare è come quando ascolto Verdi, leggo Calvino o guardo Leone. Godo.

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Pranzare, poi, all'aria aperta, con la soprffina arte culinaria di mamma, cultura vera, "mica cazzi" (Cit. da Batti e Corri di Giorgio Molinari), disquisendo di viaggi, emozioni, letteratura, cinema, festival apre i sensi al mondo.

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E siccome di sensi, almeno quelli riconosciuti, ne ho solo 4, visto che l'olfatto è un optional data l'anosmia (e risparmiatevi battute sul naso che già ci ha pensato madre natura...), anzi, dovrei dire 3 e mezzo perché la miopia, non gravissima ma pure sempre presente, si è portata via la metà o (calcolandolo scientificamente) un quarto.... insomma i miei 3 sensi e 3/4 ne hanno goduto, di star lì con quei due tipacci di Luciano Cisi e Giorgio Molinari a parlar di quello che più ci piace: vivere.

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21 febbraio 2012 2 21 /02 /febbraio /2012 16:38

Uno può partire avvantaggiato da madre natura quanto vuole, pure di mezzo giro di pista, ma se poi si ferma a salutare il pubblico o a fare lo spaccone alla Usain Bolt, magari c'è che ti danno Falsa Partenza e t'attacchi al tram che si chiama desiderio e che poi, mi han detto, non passa più.

Uno può avere anche i pregiudizi, e badate bene che non sono per forza negativi, semplicemente dei giudizi fatti prima, magari prima di leggere, come in questo caso che si parla di libri. E io, umanamente, ce ne ho molti. Ma mai saccenti o di pancia. Si giudica di testa perché, giù che possa andre il tuo giudizio, scende fino al cuore. Mai di pancia. Troppo ben collegata al sedere.

Uno, insomma, parte avvantaggiato perché ho letto il precedente libro e mi ha gradevolmente colpito (potete leggere qui http://scrittoripericolosi.over-blog.it/article-l-eresia-di-carlo-a-martigli-o-del-libero-arbitrio--41218405.html ). Parte avvantaggiato anche perché l'ho conosciuto di persona e s'è trovata subito la giusta empatia. 

Ma da giallista so benissimo che un semplice indizio o anche una corroborante prova non fanno terminare le indagini e scoprire per forza il colpevole.

Però, dicendola alla Totò, due prove fanno un indizio.

L'indizio in questione è L'ERETICO.

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Come un Salgari riesce magicamente a farti credere di essere stato non solo in posti in cui il suo capello bianco (ma anche quello nero della gioventù) non è mai svolazzato, ma anche in epoche che, nonostante il capello bianco, neanche fosse il monaco Ada Ta e la sua indistinguibile età, sarebbe riuscito a visitare. E invece Carlo Martigli ci porta per mano fra persone (non personaggi, badate bene!) vere che se le descrivessero così nei libri la Storia sarebbe al secondo posto dopo Fifa2012 della Playstation nel cuore dei ragazzini; ci accompagana a tavola, per strada, financo nei cessi, guarda un po', perché, non so se ve lo hanno mai detto i libri, ma anche il protagonista Gesù la faceva, sennò a 33 anni non ci sarebbero arrivato neanche con un miracolo!

Ed è proprio da Gesù e dall'incomprensibile, finora, mistero che aleggia intorno ai suoi anni dai 12 ai 30 in cui nessuno, neanche e soprattutto i 4 evangelisti riconosciuti dalla Chiesa, ci ha saputo spiegare dove fosse andato e cosa avesse fatto, ed è proprio da qui che parte la straordinaria avventura che l'eccellente scrittura di Martigli ci porta a vivere.

Sono un giallista e questo è il secondo indizio che raccolgo su Carlo Martigli. Anzi... la seconda prova. Inconfutabile. Martigli è un grande scrittore dei nostri tempi. Uno scrittore pericoloso. Non solo per i temi che tratta.

Ma per COME li tratta.

Due indizi fanno una prova.

Due prove fanno un colpevole.

Condanno Carlo A. Martigli al marchio a fuoco di SCRITTORE PERICOLOSO.

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19 febbraio 2012 7 19 /02 /febbraio /2012 01:29

C'eran tre tizi che dirsi normali proprio non si può, a Terracina.

C'era un argentino, un civitavecchiese e un terracinese. Come nelle barzellette.

Maximiliano Chimuris c'è venuto dalla Bombonera maradoniana a farsi vanto di vittorie sontuose del Boca sul mio povero River retrocesso come i gemellati granata, ma soprattutto ad illustrare sudamericanamente i racconti di Gabrielli e pure un po', perché no, a far il giapponese con tutti quei clik.

Fabrizio Gabrielli ci vien spesso a Terracina, ormai... come uno Schettino qualunque che fa la tratta Civitavecchia-Terracina costa-costa... per salutare questo scoglio ansurate sempre più letterario grazie, anche, a una parte non inquinata di Civita, quella Prospettiva che fa piccole grandi cose letterarie.

Massimo Lerose c'è stato procreato, c'è cresciuto e pasciuto. Ama far conoscere la sua bomboniera a quelli della Bombonera e dar sempre nuove indicazione sulla rotta ai vecchi lupi del mare letterario, anche se non è una cima.

 

Tre tizi a zonzo pel centro storico.

Che poi gli capita di passegiare insieme ai bambini in maschera, oppure che poco più avavnti li ferma la fornaia e al civitavecchiese gli dice "Aspetta 'nu po'... ma tu n'n sì i fije de...?", o financo che si mettan a far pezzi rap con Mariusc in una cantina con le volte, dove a volte nascon gran pezzi giovanili che altrocheparappapapapapaperchésanremoèsanremo.

 

Tutta 'sta premessa per dire che le presentazioni di un libro mica son tutte lì, nella libreria Segnalibro (in questo caso), e che nascono e muoiono lì. C'è un prima e c'è un dopo.

Il prima l'ho premesso (in fondo si chiama prima...).

Il dopo ve lo lascio immaginare, fra svolacchi di dediche e chiacchiere sulla gloriosa Curva Mare, e saluti, e pacche sulle spalle.

Il durante ve lo copio e incollo dal foglio Pages (I'm the son of Steve Jobs), così come l'ho recitato.

 

è tutta colpa di un pesce rosso se oggi il ragazzo qui seduto ci viene a parlare di quello che i filologi dell’estetica all’italiana chiamano CALCIO ma che noi poveri bambinoni con le barbe incolte e le sbucciature ataviche sulle ginocchia chiamiamo sempre e ancora PALLONE.

Sì, un pesce rosso , il suo primo libro

l_inafferrabile-weltanschauung-del-pesce-rosso.jpg, che già all’epoca presentava racconti scritti in uno stile innovativo, tutto suo... GABRIELLIANO diranno i posteri... speriamo più tardi possibile!

Nel Pesce Rosso ci sono ANCHE racconti di calcio, ma quasi da squadra primavera: si sentiva già la freschezza, si intuivano le potenzialità del ragazzo, ma aveva ancora le gambe fragili e gli avversari erano difensori brutti, sporchi e cattivi che picchiavano alle caviglie.

Poi il numero 10 Gabrielli, perché di un fantasista stiamo parlando, signori miei, poi Gabrielli cresce, fa l’esordio in prima squadra e la trascina ad una vittoria inaspettata, troppo forti le squadre che monopolizzano il mercato del (MOSTRA UN LIBRO) rettangolino di gioco.

Ma il ragazzo che si farà anche se ha le spalle strette, ma non ha la maglia numero sette, proprio nell’ultima giornata di campionato, sfodera una punizione che centra in pieno la traversa e fa KATACRASCH

katacrash

... tutta la curva fa nooooooo... ma poi il pallone prende un effetto strano e s’insacca all’incrocio dei pali! GOOOOOOOOOOOOOL

(piccola pausa)

Oggi Gabrielli è diventato un Top Player della scrittura e, come i Baggio, i Cassano e, omaggio alla sua giallorossità, come i Totti si diverte a fare solo e soltanto numeri d’alta scuola.... SFORBICIATE, signori e signore!

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23 gennaio 2012 1 23 /01 /gennaio /2012 12:35

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Che uno poi ci scherza ma in fondo dice la verità.

Facciamo questo mestiere non tanto perché è l'unico che in realtà siamo in grado di fare, ma soprattutto perché la vita è così piena di sapori, immagini, suoni, emozioni che se non ce lo dicono degli scrittori, degli attori, dei giornalisti, dei musicisti, dei fotografi è come se assaggiassimo tutto sciapo, vedessimo tutto in bianco e nero, ascoltassimo tutto a basso volume e vivessimo una vita così piatta o sotto il livello del mare che la depressione del Mar Caspio al confronto sarebbe un martedì grasso.

Che uno poi ci scherza ma in fondo dice la verità.

L'incipit è una cosa fondamentale.

In una storia l'attacco è tutto.

"Che uno poi ci scherza ma in fondo cie la verità" è un incipit.

L'incipit di Incipit, la prima edizione del Festival Incipit.

Una prima volta che non si scorderà mai.

Non solo per la buona riuscita, grazie all'organizzaione della premiata ditta Leaci-Giannasi, alla partecipazione degli autori finalisti al Premio Nabokov, al pragmatismo mediatico di Damiano Celestini, ma anche di tutto il contorno. E non ho usato una parola a caso.

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Il contorno è fatto di balle di fieno portate dal vento dell'est italico nella pizza gelidamente assolata di Novoli, salento puro, come il negramaro e il primitivo che innaffiava le varie portate, dalle classiche orecchiette alle cime di rapa (che, parlando di classica, è come andare a Salisburgo e non fishciettare "Non più andrai farfallone amoroso") alle autentiche "prime volte", con quel virginale senso di assuefazione all'atmosfera e quella voglia irrefrenabile di assaggiare, come quella dello stufato di cavallo (gli animalisti, il wwf e Marina Ripa di Meana sono pregati di lasciare la pagina). L'atmosfera era quella dei film di Sergio Leone, le note di Morricone rimbalzavano fra le piante d'ulivo e quelle pietre gialle che formavano chiese e case, le prime quasi in numero maggiore, le persone, quasi sempre anziani, che ci guardavano come fossimo i Clint Eastwood di turno, fuori casa con uno scarto già di due gol. 

Mai a pensare che in un posto così ci fosse... un posto così.

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Non è una costatazione razzista la mia.

Anzi... forse è il senso di impotenza che prevale spesso e volentieri.

Ci hanno fatto credere che il sud di qua e il sud di la... 

E invece, senti qua e guarda la.... 

Guarda in che teatro meraviglioso, in che "gioellino" direbbero gli orafi della parola nazionalpopolare, si è svolto il Festival Incipit, in che posto ho letto gli incipit dei miei (primi) tre romanzi APNEA, MALARIA e IL SOLITARIO.

E mentre Alice riprendeva, Veronica fotografava, Giorgio sudava, Andrea pianificava, Eduardo leggeva, Massimo interpretava e Damiano sognava cavalli al galoppo, è nata una squadra che presto racconterà gli incipit, le balle di fieno e, perché no, anche i cavalli di molti posti, vicini e lontani.

Coming soon....

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9 gennaio 2012 1 09 /01 /gennaio /2012 17:18

Avete idea di cosa leggere per l'anno nuovo?

Boh???

Bo, casomai. Bolano.

Postumo. Ma pur sempre Bolano.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/09/bolano-romanzo-postumo/182516/

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Presentazione

  • : Blog di Massimo Lerose
  • : Meglio stare all'Indice che al medio... Scrittori Pericolosi, non scrittori fottuti!
  • Contatti

Profilo

  • Massimo Lerose
  • Massimo Lerose nasce nel 1978.
E' attore, regista e scrittore.
Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio".
Per alcuni è un "talento sprecato".
Per pochi è semplicemente Massimo.
La sua casa è il mondo.
Il suo mondo è Terracina."
  • Massimo Lerose nasce nel 1978. E' attore, regista e scrittore. Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio". Per alcuni è un "talento sprecato". Per pochi è semplicemente Massimo. La sua casa è il mondo. Il suo mondo è Terracina."