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10 settembre 2013 2 10 /09 /settembre /2013 18:28

 

 

Giro di notte con le anime perse.

Walkman nella tasca del bomber nero, cuffie che ammaccano i riccioli voluminosi e quattordici anni che più incazzati non si può. Anche se io, di solito, sorrido sempre.

Sì della famiglia io sono il ribelle.

La cassetta dei Litfiba me la sono fatta registrare dallo zio di mio cugino che lavora alla Plasmon e ha i soldi per comprarsi quelle originali da Vinile a Via del Fiume. Ha ventuno anni, una Fiat Tipo bianca e una fidanzata che è meglio di Michelle Pfeiffer in Ladyhawke. Chissà se mai ne avrò una? Di ragazza, dico. Le auto non mi interessano. Vado a malapena sul Ciao di papà.

Tu vendimi l’anima e ti mando alle stelle.

Il borsone del Terracina Basket non pesa molto ma lo trovo scomodo: a portarlo come una busta della spesa struscia per terra, a tracolla mi si rompe l’osso del collo e a zainetto, mingherlino come sono, me ne cado a culo per terra sui sampietrini di Corso Anita Garibaldi mentre caracollo verso Piazza Quattro Lampioni per andare al Palazzetto dello Sport a fare allenamento.

E il Paradiso è un’astuta bugia.

1990. Che anno strano!

Ho cominciato il Quarto Ginnasio in una classe di quasi tutte ragazze, ad eccezione di me e altri due maschi che sembrano uno un punk mancato, invece sogna di fare l’archeologo e ascolta Venditti, e l’altro un contadino dal naso avvinazzato, mentre è un astemio bonaccione che da grande farà l’avvocato. Alcuni amici di papà mi avevano promesso il Paradiso: “Il Ginnasio! Ragazze di tutti colori, di tutti i gusti, di tutte le forme!”. Come se le donne, pur piccole che siano, fossero oggetti! Che cretini! Guardano solo l’involucro e mai il contenuto. Come con Terracina.

E poi io al Paradiso non c’ho mai creduto. Almeno non nel senso cristiano. Ho scelto anche di non farmi la cresima e la maggior parte della gente mi guarda come fossi un mostro uscito fuori da quel loro libro di favole - quello, sì, pieno di mostri! - che tutti hanno in casa ma lo usano come soprammobile. Quasi non sanno che, in realtà, sono tanti libri messi insieme. Lo dice la parola stessa: Bibbia, i libri.

Ahhhhh Arriba, arriba El Diablo!

Svolto in Via Olmata mentre Piero Pelù continua a ripetermi con la sua voce cavernosa che il Paradiso è un’astuta bugia, e non ha tutti i torti.

Che poi io alle parole ci do un peso. Riconosco il loro giusto valore. Scrivo le mie poesie, che non farò mai leggere a nessuno perché mi vergogno di quello che la gente potrebbe pensare, ma ogni parola la metto sulla bilancia prima di usarla. Le parole hanno un significato preciso, non quello che la maggior parte delle persone gli attribuiscono. Se parliamo poi dei terracinesi... Giove Anxur, proteggici tu! Convivono con diatribe medievali, se solo sapessero che significa!

Ok, penso troppo per un ragazzetto di quattordici anni, leggo troppo, mi emoziono troppo, vivo troppo. Non mi sono accorto nemmeno di aver attraversato la passerella del Ponte Rosso, tanto le mie gambe conoscono a memoria la strada ed hanno il pilota automatico.

Il paradiso, dicevo.

Ho fatto una ricerca sulla Enciclopedia Treccani che i miei hanno comprato a rate per farmi studiare: Paradiso deriva dal sanscrito paradesha e significa “paese supremo”. In pratica è un luogo utopico sereno, non soggetto allo scorrere del tempo, caratterizzato da pace e serenità.

Ecco, io il paradiso so dov’è. Il mio “paese supremo”.

So che sta nel cielo che fa da tappo a questa immenso otre che è la terra e so che in questo angoletto in cui vivo è così palese che la gente nemmeno se ne accorge, non ci dà quasi peso, come fosse l’amore incondizionato di una madre a cui non dici più “ti voglio bene”. Mai dare per scontato l’amore, la bellezza e le parole!

So che il paradiso sta nelle tavole polverose del palcoscenico del Teatro Traiano dove ho cominciato a recitare a tre anni con la Compagnia di Genesio Nofi; che sta nella sabbia fine della Spiaggetta dove i miei mi hanno raccontato che sono stato procreato; che sta in ogni sasso toccato, calpestato, insozzato, insanguinato, ammirato in tre millenni di Storia di questa apatica città di confine, intorpidita dall’odio e dallo iodio, rimbecillita da egoistici menefreghismi e salvata da quei piccoli gesti d’amore che sparute persone fanno ogni giorno lontano dalle false luci della ribalta.

Arrivo al Palazzetto. Sono il primo, come sempre. Mia figlia la chiamerò Ansia!

Michele il custode mi fa entrare “basta che non tocchi i palloni prima che arriva Saverio!”. Entro nello spogliatoio, mi tolgo il bomber e comincio a spogliarmi. Guardo il mio corpo nudo. Non è un granché, anzi. Non sarò mai un giocatore di pallacanestro. Non sarò mai un corpo. Ma ardo di passione per essere una mente. E il mio paradiso mi aiuterà, ne sono certo.

Il paradiso sta qua.

A Terracina. Il “paese supremo”.

Il paradiso è un’astuta bugia. Tutte le vite, per primo la mia.

Terracina è una grande bugia. Esiste solo nella mente di chi ci crede.

 

Il Coach Saverio è arrivato, gli altri ragazzi anche. Prendo il pallone a spicchi, palleggio un po’, arresto e tiro. La palla prende il ferro e va via sul fondo. Non sarò mai un giocatore di pallacanestro. Non sarò mai un corpo. Ma scriverò del paradiso. E scriverò solo la verità.

Scriverò di Terracina.

Il Paradiso è un'astuta bugia
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  • : Blog di Massimo Lerose
  • : Meglio stare all'Indice che al medio... Scrittori Pericolosi, non scrittori fottuti!
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Profilo

  • Massimo Lerose
  • Massimo Lerose nasce nel 1978.
E' attore, regista e scrittore.
Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio".
Per alcuni è un "talento sprecato".
Per pochi è semplicemente Massimo.
La sua casa è il mondo.
Il suo mondo è Terracina."
  • Massimo Lerose nasce nel 1978. E' attore, regista e scrittore. Per molti dovrebbe trovare un "lavoro serio". Per alcuni è un "talento sprecato". Per pochi è semplicemente Massimo. La sua casa è il mondo. Il suo mondo è Terracina."